In questo articolo rispondo ad alcune argomentazioni di chi sostiene che non è una buona cosa l'obbligo per i social network di chiedere un documento di identità a chi si vuole iscrivere, obbligo di cui ha parlato in questo giorno il deputato Luigi Marattin, annunciando su Twitter la preparazione di una proposta di legge in merito.
Riccardo Luna su Repubblica.it ha scritto un articolo intitolato "Carta d'identità per andare sui social, una proposta senza senso". Queste le sue affermazioni:
- già oggi la Polizia Postale può identificare chi scrive sui social grazie all'indirizzo IP, che indica dove si trova il dispositivo con cui è stato inviato il messaggio
E però l'utente può nascondere l'IP con un VPN, rendendosi anonimo con buona probabilità (non sicuramente, ma con buona probabilità). Per la verità questa cosa la sa lo stesso Riccardo Luna, che lo dice (contraddicendosi quindi a distanza di poche righe!), ma aggiunge che...
- rimanere anonimi è un diritto umano sancito dalle Nazioni Unite per difendere la libera manifestazione del dissenso (Luna cita il rapporto dell'inviato speciale dell'Onu per la libertà di espressione del 2015).
Ma il fatto che sia sancito dalle Nazioni Unite può essere un'argomentazione che spiega la difficoltà di varare una normativa del genere, ma non dimostra che Marattin abbia torto, a meno che non si voglia dibattere usando il principio di autorità.
Altra argomentazione:
- "Sono le dittature a cancellare l'anonimato".
Anche qui non vedo argomentazioni, ma solo il principio di autorità all'incontrario, che non può funzionare se non come artificio retorico. Non è che se un cattivo dice che sta piovendo allora puoi dedurre automaticamente che è sereno. Il fatto che l'anonimato da sé basti a generare ingiustizie tipiche dei regimi dittatoriali mi pare tutto da dimostrare.
Altra argomentazione:
- Gli hater che insultano ogni giorno Liliana Segre (senatrice a vita, famosa per essere sopravvissuta alla detenzione nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau) sono quasi tutte persone che non si nascondono e postano col loro vero nominativo.
Appunto. Quasi.
Andiamo avanti.
- Riccardo Luna scrive: "Davvero vogliamo imporre a 30 milioni di italiani che usano i social di dare la carta di identità per colpa di 200 razzisti?"
Certamente. Così come imponiamo a milioni di onesti italiani di tenere una targa sull'automobile nonostante siano in pochi quelli intenzionati a forzare i posti di blocco. Divieti e numeri funzionano più o meno sempre così. Buon giorno.
Altra argomentazione:
- Sarebbe comunque possibile aggirare la normativa registrandosi al social usando un IP straniero.
Come dire che le videocamere per beccare i rapinatori togliamole, perché tanto si mettono il passamontagna.
Bisogna mettere più possibile il bastone fra le ruote a chi vuole commettere reati. E certamente la maggioranza delle persone non avrà voglia di smanettare per fingere di navigare dall'estero, e così intanto viene di fatto dissuasa una grande quantità di persone a ingiuriare e diffamare.
Dopo di che la speranza è che anche gli altri stati seguano l'esempio di quello che per primo ha varato la normativa in questione, e/o che gli staff direttivi dei social network, anche se non obbligati, si diano questa regola, anche magari a costo di far pagare qualche euro l'iscrizione per via delle risorse da impiegare in sede di identificazione e validazione.
Un'altra osservazione, molto semplice, l'ho pensata ancor prima di leggere, sempre su Repubblica.it, la risposta di Marattin all'articolo di Luna: come è giusto dover rispondere del proprio operato offline (ad esempio quando si scrive su un giornale cartaceo), è giusto doverne rispondere anche online. Un quotidiano cartaceo può non riportare la firma dell'autore dell'articolo, di cui comunque risponde il direttore responsabile. Direttore che conosce l'identità dell'autore e deve fornirla se richiesta dalle autorità.
Un comune cittadino deve poter intentare un'azione legale contro chi, scrivendo su un social, ha commesso il reato di ingiuria e diffamazione. Deve essere almeno possibile chiedere, per le autorità, chiedere e ottenere dallo staff del social la vera identità del potenziale autore del fatto.
Se poi Facebook o altro social accettano di iscrivere persone con un nick, affari loro. L'importante è che le persone che lo fanno sappiano di non essere, grazie a quel nick, al riparo dalla legge.
Per quanto riguarda Facebook... no, Zuckerberg non gradisce che le persone si iscrivano con nomi e cognomi diversi da quelli anagrafici, e infatti quando lo staff di Facebook si accorge (per segnalazioni o altro) che un profilo è falso, lo cancella; inoltre fa controlli random per certificare l'identità degli iscritti. Lo fece con me qualche anno fa, e così inviai la scansione del mio documento di identità, mentre una mia amica, a cui fu chiesta, si rifiutò e così si cancellò dalla piattaforma.
Ho poi letto la ri-risposta di Luna alla risposta di Marattin. Ecco cosa afferma:
- L'obbligo per gli italiani di fornire un documento a Facebook o Twitter non avrebbe impedito la disinformazione da parte dei profili falsi creati dai russi.
Vero. Una legge italiana spesso serve per obbligare gli italiani e non commettere reati. Non per impedirlo ai russi. Né serve per impedire ai russi di creare profili falsi, o di lanciarci missili. Ciò nonostante, pur coi suoi limiti, può essere una legge sensata e con una certa efficacia.
- Mark Zuckerberg ha difeso la scelta di Facebook di accettare spot politici che dicano esplicitamente il falso. Lo ha fatto a proposito di una inserzione in cui il team di Trump sostiene che il candidato democratico Biden ha commesso cose che non ha in effetti fatto.
[...] Che facciamo, chiediamo i documenti a Trump o chiediamo di bannarlo?
Qui parliamo di un'altra cosa ancora. La legge che ha in mente Marattin non ha lo scopo di far sì che chi commette un reato di ingiuria o diffamazione sia bannato da un social. Ha lo scopo di dissuadere le persone dal commettere tali reati, facendo capire loro che sono identificabili facilmente.
Quindi Facebook faccia quello che vuole con Trump e con tutti quelli che diffamano (io suggerisco di bannarli, che si chiamino Donald Trump, John Smith o Mario rossi). L'importante è che Trump e chiunque ingiuria o diffama possano essere agevolmente identificati e processati per questo.
Altra argomentazione:
- Facebook ha chiuso molte pagine bufalare con milioni di iscritti; bene, ma i contenutidi quelle pagine erano "robetta", non in grado di spostare voti, almeno per ora.
Appunto, per ora. Meglio non rischiare. E in ogni caso, spostamento di voti o no, i reati devono essere puniti.
Appunto, per ora. Meglio non rischiare. E in ogni caso, spostamento di voti o no, i reati devono essere puniti.
- Facebook, Twitter e Youtube hanno chiuso un sacco di pagine e profili di odiatori, quindi "dire che le grandi aziende
tecnologiche non stanno facendo nulla o non stanno facendo abbastanza è
semplicemente una fake news"
E invece è la verità. Non nel senso che tali aziende sono cattive, ma nel senso che, pur con tutto il loro impegno, non riescono a fare abbastanza, e il problema continua a sussistere, dato che per ogni account che viene chiuso ne viene aperto un altro il giorno dopo. Ecco che se in tutto il mondo gli utenti dovessero fornire un documento per iscriversi a un social network, il problema sarebbe non dico risolto, ma contenuto. E, come dicevo, non sarebbe male se l'Italia desse un iniziale buon esempio.
- "ribadisco il fatto che a livello globale è
stato sancito che la possibilità di essere anonimi in rete è uno
strumento fondamentale per tutelare i dissidenti di regimi autoritari"
Certo, finché ad esempio la Cina sarà il regime autoritario che è non auspicherò che là esistano (anzi, diciamo migliorino, visto che esistono già) strumenti e tecniche per eliminare l'anonimato.
Ma questo non c'entra nulla.
Ma questo non c'entra nulla.
È inutile sancire le cose. Puoi sancirle quanto ti pare e al livello globale quanto ti pare, ma non riuscirai mai a farlo a livello tanto globale da inglobare anche i regimi autoritari. Quindi noi e tutti gli altri globali, globalissimi paesi non autoritari che facciamo? Garantiamo un anonimato che da noi non serve a nulla, visto che appunto sarebbe auspicabile giusto come toppa nei paesi autoritari? Se proprio vogliamo parlare di dittature (che è un altro argomento rispetto a quello che succede ad es. in Europa), allora la sensata speranza è che la Cina consenta ai dissidenti libertà di parola, non che in l'Italia, Francia, Svizzera, etc si consentano agli stronzi la libertà di offendere gratuitamente e impunemente il prossimo. Non c'entra.
- Luna dice che non bisogna creare un "cyber wall", che ci farebbe auto-escludere, rendendoci profughi del web.
Ma non credo sia così. Se fosse varata una legge che mettesse Facebook davanti alla scelta "Chiedi i documenti agli italiani oppure chiudi i battenti in Italia", Facebook sceglierebbe sicuramente di non perdere un bacino di utenza di milioni di persone e si attrezzerebbe per ottemperare alla legge.
- La rete non è solo insulti e diffamazione: è molto altro e per la maggior parte ha effetti positivi sul mondo
Vero. Ma quest'argomentazione mi ricorda i napoletani che inveiscono contro i giornalisti che parlano della criminalità organizzata locale, urlando che la maggior parte dei napoletani sono onesti. Vedi su: è sempre così. I problemi vengono dalle minoranze, che danno però problemi molto fastidiosi, che è giusto e doveroso affrontare.
- Nel denigrare la legge pensata da Marattin, Luna coglie l'occasione di parlare di varie aziende, fra cui Google e Facebook, che secondo lui si sono dati l'obiettivo di far tornare centrale l'etica.
Veramente già da qualche anno Google fa qualcosa di assolutamente anti-etico, proprio dal punto di vista della libertà di parola. Cioè demonetizza i video Youtube in cui si parla di argomenti controversi, cioè toglie le pubblicità a tali video, e quindi le entrate economiche dello youtuber. Che quindi se vuole continuare a guadagnare deve evitare ad esempio di dire che il tale dittatore fa una brutta cosa quando massacra gli inermi civili di uno stato vicino indifeso, perché siccome c'è sempre il cretino di turno che sostiene quel dittatore e si arrabbia non solo con lo youtuber, ma anche con l'inserzionista pubblicitario che gli dà da mangiare, allora l'inserzionista smette di investire facendo spot su Youtube.
E Facebook ha un capo che pochi giorni fa ha difeso il diritto della sua azienda di sponsorizzare i video in cui un politico dice delle comprovate bugie. Evviva l'etica, anche qui.
- Luna dice che una legge del genere sarebbe populista
Veramente
le ondate di odio, specialmente sui social network, vengono più che
altro dai populisti (nota: anche il fanatismo di estrema destra è una
forma di populismo).
Chi ha invece commentato il messaggio di Marattin con un pensiero secondo me condivisibile?
Massimo Sandal, che su Wired ha parlato di ricerca scientifica, spiegando che molti giovani ricercatori non vogliono confutare pubblicamente le ricerche scientifiche per paura di ritorsioni: gli autori, quando assumeranno il ruolo di revisori, potranno valutare negativamente i loro articoli per vendetta. Inoltre se si tratta di potenti professori, hanno in mano decisioni come l'assegnazione di fondi e le assunzioni. Proprio per questo i revisori degli articoli sono anonimi
Ok. Mi sta bene che siano anonimi gli iscritti ai social network dedicati alle ricerche scientifiche. Ma non quelli generaisti come Facebook o Twitter.
Una roba buffa è che la pagina web della petizione lanciata da Marattin per la legge anti-fake, almeno fino a poche ore fa, si prestava a ricevere e accettare firme di persone fittizie ed aveva anche altri difetti, come spiegato in questo articolo di Wired (stavolta non firmato). Ma questo è un altro discorso.
Comunque basterebbe forse obbligare tutti i fornitori di caselle email a chiedere un documento. Sì, anche. Così fra i benefici ci sarebbe la ben maggior valenza delle raccolte di firme sulle proposte di legge e su tutto quello che le persone chiedono al governo (e le email fatte con provider esteri? Semplicmente non devono essere conteggiate nelle petizioni).
Una roba buffa è che la pagina web della petizione lanciata da Marattin per la legge anti-fake, almeno fino a poche ore fa, si prestava a ricevere e accettare firme di persone fittizie ed aveva anche altri difetti, come spiegato in questo articolo di Wired (stavolta non firmato). Ma questo è un altro discorso.
Comunque basterebbe forse obbligare tutti i fornitori di caselle email a chiedere un documento. Sì, anche. Così fra i benefici ci sarebbe la ben maggior valenza delle raccolte di firme sulle proposte di legge e su tutto quello che le persone chiedono al governo (e le email fatte con provider esteri? Semplicmente non devono essere conteggiate nelle petizioni).