È noto come la maggior parte delle donne, almeno in Italia, dopo aver scambiato effusioni di vario tipo con un maschio che frequentano da poco non hanno piacere che lui parli di questo tipo di episodi ad altre persone. Se lei ne parla con le sue amiche è condivisione di un’importante esperienza; se lo fa lui con i suoi amici è spacconeria e riduzione della donna a oggetto, trofeo, vittima ridicolizzata.
Attenzione: non facciamo confusione con i motivi “logistici” per i quali una donna può aver ragione di nascondere agli altri una relazione o un qualsiasi episodio, ad esempio la reale possibilità di perdere il proprio posto di lavoro o di far arrabbiare persone che non accetterebbero di buon grado il fatto. In questo articolo parlerò esclusivamente dell’aspetto psicologico legato direttamente alla divulgazione della notizia.
Dunque perché lei si lamenta dicendo di essere stata trattata come un “trofeo”, o una “tacca sul fucile” ?
Sono proprio queste parole, che ho citato direttamente, che ci danno un utile spunto per avere una risposta: “un trofeo” è qualcosa che conquistiamo in una gara che abbiamo vinto mentre qualcun altro ha perso. Per il fucile.. ovviamente stesso concetto. Dunque il presupposto alla base è:
"Tentare di sedurre una donna = lottare per un proprio obiettivo CONTRO una donna che ha l’obiettivo opposto"
"Aver sedotto una donna = aver vinto contro una donna, che è stata sconfitta."
Ma visto che non stiamo parlando di violenza sessuale, né di mezzi di coercizione che annullano temporaneamente la volontà di lei, che ci azzecca il trofeo, o il fucile?
Ci azzeccano perché l’idea del conflitto è necessaria affinché lei si sgravi di una parte della propria “colpa” facendola ricadere sul maschio. La storia che per lei è più sostenibile sottintendere è del tipo “Io non volevo, ma lui mi ha sedotto e alla fine ha vinto”.
Certo questo concetto non viene espresso come argomentazione in una discussione (suonerebbe ovviamente ridicolo), né lei a sé stessa dice niente del genere consciamente (sa bene che non è vero).
Infatti se a una donna che si lamenta di essere trattata come un “trofeo” o una “tacca sul fucile” si facesse presente ciò che ho detto sopra sulla inadeguatezza di questi termini, probabilmente cambierebbe discorso riparando su tutt’altre argomentazioni per giustificare il proprio diritto alla privacy. Tipico esempio sono le vecchie scappatoie in uso da secoli, le menzogne con cui si spiega col DNA qualcosa che invece è frutto dell’educazione assassina dei sentimenti:
“Sono fatta così e basta” (basta nel senso che non le va di parlarne perché non vuole ammettere che, come ho detto sopra, il motivo risiede nell’educazione censura-sentimenti vigente)
“Chiedi a chiunque, ti risponderanno nello stesso modo” (per forza: intorno abbiamo persone il cui sistema emozionale è stato sconvolto come è accaduto per il suo)
“È una cosa naturale che ci si debba tenere per sé una cosa intima” (tesi basata sul nulla e facilmente sbugiardabile senza bisogno di scomodare gli aborigeni che fanno sesso senza curarsi di non essere guardati: due occidentalissimi e iper-religiosi cattolici, quando si scambiano l’anello, a loro detta compiono un atto importante, sacro, vitale e intimo, eppure lo fanno in presenza di decine di persone).
“Mi infastidisce che se ne parli così, non c’è un perché; mi infastidisce e basta”.
A tutto c’è un perché. Se una persona infastidita da qualcosa nega che a questo ci sia una causa (teoria del caos all’interno del cervello?!), oppure si dice disinteressata o di nuovo infastidita all’idea di cercarlo, allora semplicemente si tratta di un motivo troppo duro da confessare.
Poco male se non sarà lei a confessarselo e a confessartelo: te lo spiego io.
1)
Come detto sopra lei si sente, o deve dichiare di sentirsi “sconfitta”
2)
Lei si sente umiliata perché il suo avversario, che l’ha sconfitta, canta vittoria e divulga la notizia.
3)
A un altro livello si crede colpevole, poiché in fondo ha chiaro – e ha chiaro che gli altri sanno – che lei ha fatto poco o niente per “difendersi” visto che farsi sedurre le piaceva.
4)
Lei si sente stupida.
Per essersi fatta conquistare da uno stronzo? No. Questa è un’altra balla che talvolta sostiene a parole. Si sente stupida perché nel disperato tentativo di discolparsi l’unica cosa che può fare è sforzarsi di credere vera la tesi che velatamente sostiene a parole, quella del punto 1), che è evidentemente falsa (e meno male, perché se fosse vera farebbe di lei una donna ancora più stupida).
5)
Lei non sa gestire il conflitto fra due tesi, entrambe da sostenere, essendo l’una contraria all’altra; queste potevano essere ben gestite alternandole, cosa che non accade più quando si presentano insieme.
Spiego quest’ultimo punto.
Le due tesi opposte sono “È stata un’esperienza bella e giusta” e “È stata un’esperienza brutta e sbagliata”.
Avrai sentito qualche ragazza dire qualcosa del tipo “Sono una persona libera e indipendente e so bene di avere diritto di frequentare gli uomini che voglio e quando voglio, senza dovermi giustificare; infatti non c’è nulla di male e anzi c’è solo di bene [etc etc…]”
Questa è una sensatissima dichiarazione di sacrosanta indipendenza. Bene. Ma attenzione. Se è la stessa ragazza a dire “…Però non mi piace che un uomo racconti in giro ciò che accade fra noi in intimità”, allora prendi la sua dichiarazione di indipendenza e cestinala: era una bugia.
La privacy non è un valore primario. Quindi se non ci piace che gli altri sappiano qualcosa significa che per un qualche motivo, più o meno conscio, percepiamo che ciò può essere causa per noi di uno svantaggio.
Quale?
Come già detto, non teniamo conto dei casi in cui la persona sospetti il rischio di uno svantaggio logistico (es. perdere il lavoro) o sociale (es. essere visti sotto una cattiva luce), casi che già ho chiarito essere esclusi dalla trattazione di questo articolo.
E consideriamo che, anche al di là di questi possibili svantaggi, lei abbia fastidio per la divulgazione delle innocentissime effusioni affettuose con un uomo. Perché questo fastidio?
Perché lei è una delle tante donne per le quali la reputazione è un po’ lo specchio della purezza della propria anima.
Ricorro a un’analogia con la bellezza fisica: se una persona ha dei tratti somatici che secondo il proprio gusto la rendono brutta, non ne soffrirà o ne soffrirà meno se in giro non ci sono specchi, e se non viene vista dagli altri. Allo stesso modo, una donna che ha commesso qualcosa che nell’immaginario colletivo è classificato come immorale, non ne soffrirà o ne soffrirà meno se le persone attorno a lei non lo sanno. Il fatto che agli altri gliene freghi qualcosa o no è del tutto irrilevante: lei percepisce le persone intorno come specchi della sua colpevolezza; percepisce che quella notizia scomoda, entrando nella loro testa, trova nuova linfa per ritardare il suo spegnimento.
Diciamo che il problema non è che lei s’immagina di essere vista dagli altri sotto una cattiva luce. Il problema è che lei s’immagina che gli altri la vedano sotto una cattiva luce e che abbiano ragione. Altrimenti non si spiegherebbe tanta importanza data alla cosa. Del resto la notizia non è che lei sia un’assassina, o un’appestata, e neanche una troia: si sta parlando di una singola relazione con un singolo uomo, mica con 100 uomini nella stessa settimana. L’insensata paura è che gli altri “a ragione” la vedano sotto una cattiva luce per il fatto di essersi fatta sedurre da un uomo… Cosa in realtà assolutamente normale e socialmente accettabile e accettata… Ma non nel suo inconscio, che presenta ancora uno strascico di medioevo, quando la donna che rimaneva incinta doveva andare a confessarsi per chiedere perdono di aver fatto l’amore con suo marito. Il risultato è una gran coda di paglia. L’unica persona a pensare male di lei è proprio lei. Immagina gente bigotta che pensa male di lei, ma non c’è nessun bigotto.
È solo lei a pensare male di sé stessa.
Pensa male di sé stessa. Però d’altra parte quell’esperienza le è piaciuta.
Conflitto interno. Due moti opposti. Che vengono da due “fonti” diverse:
“È giusto che tu mi abbia sedotta, perché mi piace”: espressione dei suoi veri desideri
“È sbagliato che tu mi abbia sedotta, perché significa che non sono virtuosa”: convinzione più o meno inconscia provocata dall’educazione repressiva e/o dalla cultura dominante.
Qual è il comportamento che consente a una donna convivere con questi due concetti, se non riesce a liberarsi di nessuno dei due?
Cosa consente a una persona di mangiare carne e contemporaneamente sentirsi amico degli animali e contrario al maltrattamento?
Come può una persona acquistare i prodotti di una multinazionale sapendo che riduce in schiavitù i suoi dipendenti, e a Natale dare dei soldi per aiutare le popolazioni povere?
Cosa fa un ragazzetto che per propria scelta e senza secondi fini va ogni domenica alla Messa e durante la settimana bestemmia a ruota libera?
C’è una stessa risposta a tutte queste domande:
Alternanza.
C’è momento e momento. C’è il momento di affermare A, e c’è il momento di affermare il contrario di A (mi viene in mente un detto di non mi ricordo chi sulla politica, dove “ciò che si dice è valido solo nel momento in cui lo si dice”).
Così la donna all’interno della sua quotidianità può trovare spazio per vivere considerando cosa buona e giusta farsi sedurre e altro spazio per vivere considerando l’essere sedotta come una sconfitta, una colpa, una vergogna.
Il che si traduce con:
- faccio quello che voglio con quest’uomo, infatti ciò è bello e giusto
- non ne parlo al mondo, infatti quell’esperienza è stata impura
E quando sei fidanzato con lei in maniera stabile? Come si spiega il fatto che lei non tenta di nascondere più la sua “sconfitta”?
È una questione di “zoom”. Sia dal punto di vista “visivo” che “temporale”.
Passati un po’ di settimane o mesi, è accettabile che la relazione sia conosciuta dagli altri, a patto che:
- non si raccontino troppi particolari
- non si racconti com’è cominciata, almeno finché la cosa è recente (una moglie anziana non ha problemi a farsi 2 risate quando il marito racconta agli amici la prima sera in cui lui le mise per la prima volta una mano sulla coscia, mentre una ragazza più facilmente vorrebbe impedire che un racconto del genere fosse detto dal fidanzato con cui sta da una settimana)
Un esempio a cui ho accennato sopra, e che come dicevo non rappresenta la fattispecie a dispetto di quanto a livello profondo una donna lo assimili alla seduzione è il racconto di una violenza sessuale.
Per una ragazza che è stata violentata parlare di questa esperienza dopo 10 giorni è certamente più doloroso che parlarne dopo 2 anni. Raccontare l’episodio nel dettaglio è per lei più doloroso che dire genericamente “Ho subito un abuso sessuale”. Descrivere il momento in cui si è accorta che quell’uomo aveva intenzione di scoparla a forza è più doloroso che enunciare semplicemente data e ora del fatto.
- Racconto che ho subito quella violenza e dico ciò che è indispensabile dire (altrimenti non viene fatta giustizia), ma meno entriamo nei particolari, meno mi vergogno.
- Questo territorio adesso fa parte della nazione X, lo accettiamo, la popolazione è felice e prospera sotto questo governo, ma non parliamo troppo del modo in cui vennero dilaniati i corpi dei soldati durante l’ultima battaglia di resistenza.
- Ho cambiato facoltà universitaria, mi sono laureato in Y e faccio questo mestiere felicemente, ma non fatemi rivivere il momento in cui ho detto ai miei genitori che avevo deciso di interrompere gli studi precedenti…
Cos’hanno in comune tutte le cose che “non devono” essere raccontate?
La risposta che a molti viene da dare è “Un episodio che si racconta malvolentieri può essere brutto, oppure può essere bello ma imbarazzante, come quando si tratta di rapporti intimi fra due persone”.
Niente affatto. Questa è la boiata senza senso a cui la maggior parte delle persone crede.
Lo ripeto, c’è un solo motivo per il quale si racconta mal volentieri qualcosa: è una cosa brutta. È una verità che si ha ragione di ritenere brutta. Raccontarla provoca dolore.
E lo ripeto, la privacy non c’entra, perché non esiste in natura il concetto di “violazione della privacy”, che quindi fa parte delle stupidaggini apprese.
Quindi, gratta gratta (e con questo lungo articolo ho grattato abbastanza :-)), il motivo per cui una donna non vuole che si sappia in giro una notizia “fresca” e/o particolareggiata che riguarda la relazione con un uomo è proprio questo: è venuta alla luce la sua contraddizione. Sono collassate l’affermazione “farlo è stato bello” e “farlo è stato sbagliato”. Tutto era tranquillo quando si alternavano. Quando invece coesistono nello stesso istante, si verifica il “corto circuito” che la donna non sa gestire e che quindi dice di voler evitare. Che viene coscentemente spiegato dalla donna con la falsa scusa del valore della privacy.
Che consiglio do, quindi, alle donne che leggendo questo articolo hanno appena capito di vivere questa contraddizione?
Dato che vivere con due tesi alternandole non fa bene alla salute, consiglio di sceglierne una sola. E fra “Seguire il mio istinto naturale è brutto e peccaminoso” e “Seguire il mio istinto naturale è bello, giusto” consiglio quest’ultima.
Difficile?
Allora comincia prima possibile.
Servirà non solo a non aver fastidio quando un uomo parlerà con un amico dei vostri rapporti intimi: questo è un piccolo dettaglio. Il vero beneficio consisterà in una maggiore salute emozionale e relazionale.
Attenzione: non facciamo confusione con i motivi “logistici” per i quali una donna può aver ragione di nascondere agli altri una relazione o un qualsiasi episodio, ad esempio la reale possibilità di perdere il proprio posto di lavoro o di far arrabbiare persone che non accetterebbero di buon grado il fatto. In questo articolo parlerò esclusivamente dell’aspetto psicologico legato direttamente alla divulgazione della notizia.
Dunque perché lei si lamenta dicendo di essere stata trattata come un “trofeo”, o una “tacca sul fucile” ?
Sono proprio queste parole, che ho citato direttamente, che ci danno un utile spunto per avere una risposta: “un trofeo” è qualcosa che conquistiamo in una gara che abbiamo vinto mentre qualcun altro ha perso. Per il fucile.. ovviamente stesso concetto. Dunque il presupposto alla base è:
"Tentare di sedurre una donna = lottare per un proprio obiettivo CONTRO una donna che ha l’obiettivo opposto"
"Aver sedotto una donna = aver vinto contro una donna, che è stata sconfitta."
Ma visto che non stiamo parlando di violenza sessuale, né di mezzi di coercizione che annullano temporaneamente la volontà di lei, che ci azzecca il trofeo, o il fucile?
Ci azzeccano perché l’idea del conflitto è necessaria affinché lei si sgravi di una parte della propria “colpa” facendola ricadere sul maschio. La storia che per lei è più sostenibile sottintendere è del tipo “Io non volevo, ma lui mi ha sedotto e alla fine ha vinto”.
Certo questo concetto non viene espresso come argomentazione in una discussione (suonerebbe ovviamente ridicolo), né lei a sé stessa dice niente del genere consciamente (sa bene che non è vero).
Infatti se a una donna che si lamenta di essere trattata come un “trofeo” o una “tacca sul fucile” si facesse presente ciò che ho detto sopra sulla inadeguatezza di questi termini, probabilmente cambierebbe discorso riparando su tutt’altre argomentazioni per giustificare il proprio diritto alla privacy. Tipico esempio sono le vecchie scappatoie in uso da secoli, le menzogne con cui si spiega col DNA qualcosa che invece è frutto dell’educazione assassina dei sentimenti:
“Sono fatta così e basta” (basta nel senso che non le va di parlarne perché non vuole ammettere che, come ho detto sopra, il motivo risiede nell’educazione censura-sentimenti vigente)
“Chiedi a chiunque, ti risponderanno nello stesso modo” (per forza: intorno abbiamo persone il cui sistema emozionale è stato sconvolto come è accaduto per il suo)
“È una cosa naturale che ci si debba tenere per sé una cosa intima” (tesi basata sul nulla e facilmente sbugiardabile senza bisogno di scomodare gli aborigeni che fanno sesso senza curarsi di non essere guardati: due occidentalissimi e iper-religiosi cattolici, quando si scambiano l’anello, a loro detta compiono un atto importante, sacro, vitale e intimo, eppure lo fanno in presenza di decine di persone).
“Mi infastidisce che se ne parli così, non c’è un perché; mi infastidisce e basta”.
A tutto c’è un perché. Se una persona infastidita da qualcosa nega che a questo ci sia una causa (teoria del caos all’interno del cervello?!), oppure si dice disinteressata o di nuovo infastidita all’idea di cercarlo, allora semplicemente si tratta di un motivo troppo duro da confessare.
Poco male se non sarà lei a confessarselo e a confessartelo: te lo spiego io.
1)
Come detto sopra lei si sente, o deve dichiare di sentirsi “sconfitta”
2)
Lei si sente umiliata perché il suo avversario, che l’ha sconfitta, canta vittoria e divulga la notizia.
3)
A un altro livello si crede colpevole, poiché in fondo ha chiaro – e ha chiaro che gli altri sanno – che lei ha fatto poco o niente per “difendersi” visto che farsi sedurre le piaceva.
4)
Lei si sente stupida.
Per essersi fatta conquistare da uno stronzo? No. Questa è un’altra balla che talvolta sostiene a parole. Si sente stupida perché nel disperato tentativo di discolparsi l’unica cosa che può fare è sforzarsi di credere vera la tesi che velatamente sostiene a parole, quella del punto 1), che è evidentemente falsa (e meno male, perché se fosse vera farebbe di lei una donna ancora più stupida).
5)
Lei non sa gestire il conflitto fra due tesi, entrambe da sostenere, essendo l’una contraria all’altra; queste potevano essere ben gestite alternandole, cosa che non accade più quando si presentano insieme.
Spiego quest’ultimo punto.
Le due tesi opposte sono “È stata un’esperienza bella e giusta” e “È stata un’esperienza brutta e sbagliata”.
Avrai sentito qualche ragazza dire qualcosa del tipo “Sono una persona libera e indipendente e so bene di avere diritto di frequentare gli uomini che voglio e quando voglio, senza dovermi giustificare; infatti non c’è nulla di male e anzi c’è solo di bene [etc etc…]”
Questa è una sensatissima dichiarazione di sacrosanta indipendenza. Bene. Ma attenzione. Se è la stessa ragazza a dire “…Però non mi piace che un uomo racconti in giro ciò che accade fra noi in intimità”, allora prendi la sua dichiarazione di indipendenza e cestinala: era una bugia.
La privacy non è un valore primario. Quindi se non ci piace che gli altri sappiano qualcosa significa che per un qualche motivo, più o meno conscio, percepiamo che ciò può essere causa per noi di uno svantaggio.
Quale?
Come già detto, non teniamo conto dei casi in cui la persona sospetti il rischio di uno svantaggio logistico (es. perdere il lavoro) o sociale (es. essere visti sotto una cattiva luce), casi che già ho chiarito essere esclusi dalla trattazione di questo articolo.
E consideriamo che, anche al di là di questi possibili svantaggi, lei abbia fastidio per la divulgazione delle innocentissime effusioni affettuose con un uomo. Perché questo fastidio?
Perché lei è una delle tante donne per le quali la reputazione è un po’ lo specchio della purezza della propria anima.
Ricorro a un’analogia con la bellezza fisica: se una persona ha dei tratti somatici che secondo il proprio gusto la rendono brutta, non ne soffrirà o ne soffrirà meno se in giro non ci sono specchi, e se non viene vista dagli altri. Allo stesso modo, una donna che ha commesso qualcosa che nell’immaginario colletivo è classificato come immorale, non ne soffrirà o ne soffrirà meno se le persone attorno a lei non lo sanno. Il fatto che agli altri gliene freghi qualcosa o no è del tutto irrilevante: lei percepisce le persone intorno come specchi della sua colpevolezza; percepisce che quella notizia scomoda, entrando nella loro testa, trova nuova linfa per ritardare il suo spegnimento.
Diciamo che il problema non è che lei s’immagina di essere vista dagli altri sotto una cattiva luce. Il problema è che lei s’immagina che gli altri la vedano sotto una cattiva luce e che abbiano ragione. Altrimenti non si spiegherebbe tanta importanza data alla cosa. Del resto la notizia non è che lei sia un’assassina, o un’appestata, e neanche una troia: si sta parlando di una singola relazione con un singolo uomo, mica con 100 uomini nella stessa settimana. L’insensata paura è che gli altri “a ragione” la vedano sotto una cattiva luce per il fatto di essersi fatta sedurre da un uomo… Cosa in realtà assolutamente normale e socialmente accettabile e accettata… Ma non nel suo inconscio, che presenta ancora uno strascico di medioevo, quando la donna che rimaneva incinta doveva andare a confessarsi per chiedere perdono di aver fatto l’amore con suo marito. Il risultato è una gran coda di paglia. L’unica persona a pensare male di lei è proprio lei. Immagina gente bigotta che pensa male di lei, ma non c’è nessun bigotto.
È solo lei a pensare male di sé stessa.
Pensa male di sé stessa. Però d’altra parte quell’esperienza le è piaciuta.
Conflitto interno. Due moti opposti. Che vengono da due “fonti” diverse:
“È giusto che tu mi abbia sedotta, perché mi piace”: espressione dei suoi veri desideri
“È sbagliato che tu mi abbia sedotta, perché significa che non sono virtuosa”: convinzione più o meno inconscia provocata dall’educazione repressiva e/o dalla cultura dominante.
Qual è il comportamento che consente a una donna convivere con questi due concetti, se non riesce a liberarsi di nessuno dei due?
Cosa consente a una persona di mangiare carne e contemporaneamente sentirsi amico degli animali e contrario al maltrattamento?
Come può una persona acquistare i prodotti di una multinazionale sapendo che riduce in schiavitù i suoi dipendenti, e a Natale dare dei soldi per aiutare le popolazioni povere?
Cosa fa un ragazzetto che per propria scelta e senza secondi fini va ogni domenica alla Messa e durante la settimana bestemmia a ruota libera?
C’è una stessa risposta a tutte queste domande:
Alternanza.
C’è momento e momento. C’è il momento di affermare A, e c’è il momento di affermare il contrario di A (mi viene in mente un detto di non mi ricordo chi sulla politica, dove “ciò che si dice è valido solo nel momento in cui lo si dice”).
Così la donna all’interno della sua quotidianità può trovare spazio per vivere considerando cosa buona e giusta farsi sedurre e altro spazio per vivere considerando l’essere sedotta come una sconfitta, una colpa, una vergogna.
Il che si traduce con:
- faccio quello che voglio con quest’uomo, infatti ciò è bello e giusto
- non ne parlo al mondo, infatti quell’esperienza è stata impura
E quando sei fidanzato con lei in maniera stabile? Come si spiega il fatto che lei non tenta di nascondere più la sua “sconfitta”?
È una questione di “zoom”. Sia dal punto di vista “visivo” che “temporale”.
Passati un po’ di settimane o mesi, è accettabile che la relazione sia conosciuta dagli altri, a patto che:
- non si raccontino troppi particolari
- non si racconti com’è cominciata, almeno finché la cosa è recente (una moglie anziana non ha problemi a farsi 2 risate quando il marito racconta agli amici la prima sera in cui lui le mise per la prima volta una mano sulla coscia, mentre una ragazza più facilmente vorrebbe impedire che un racconto del genere fosse detto dal fidanzato con cui sta da una settimana)
Un esempio a cui ho accennato sopra, e che come dicevo non rappresenta la fattispecie a dispetto di quanto a livello profondo una donna lo assimili alla seduzione è il racconto di una violenza sessuale.
Per una ragazza che è stata violentata parlare di questa esperienza dopo 10 giorni è certamente più doloroso che parlarne dopo 2 anni. Raccontare l’episodio nel dettaglio è per lei più doloroso che dire genericamente “Ho subito un abuso sessuale”. Descrivere il momento in cui si è accorta che quell’uomo aveva intenzione di scoparla a forza è più doloroso che enunciare semplicemente data e ora del fatto.
- Racconto che ho subito quella violenza e dico ciò che è indispensabile dire (altrimenti non viene fatta giustizia), ma meno entriamo nei particolari, meno mi vergogno.
- Questo territorio adesso fa parte della nazione X, lo accettiamo, la popolazione è felice e prospera sotto questo governo, ma non parliamo troppo del modo in cui vennero dilaniati i corpi dei soldati durante l’ultima battaglia di resistenza.
- Ho cambiato facoltà universitaria, mi sono laureato in Y e faccio questo mestiere felicemente, ma non fatemi rivivere il momento in cui ho detto ai miei genitori che avevo deciso di interrompere gli studi precedenti…
Cos’hanno in comune tutte le cose che “non devono” essere raccontate?
La risposta che a molti viene da dare è “Un episodio che si racconta malvolentieri può essere brutto, oppure può essere bello ma imbarazzante, come quando si tratta di rapporti intimi fra due persone”.
Niente affatto. Questa è la boiata senza senso a cui la maggior parte delle persone crede.
Lo ripeto, c’è un solo motivo per il quale si racconta mal volentieri qualcosa: è una cosa brutta. È una verità che si ha ragione di ritenere brutta. Raccontarla provoca dolore.
E lo ripeto, la privacy non c’entra, perché non esiste in natura il concetto di “violazione della privacy”, che quindi fa parte delle stupidaggini apprese.
Quindi, gratta gratta (e con questo lungo articolo ho grattato abbastanza :-)), il motivo per cui una donna non vuole che si sappia in giro una notizia “fresca” e/o particolareggiata che riguarda la relazione con un uomo è proprio questo: è venuta alla luce la sua contraddizione. Sono collassate l’affermazione “farlo è stato bello” e “farlo è stato sbagliato”. Tutto era tranquillo quando si alternavano. Quando invece coesistono nello stesso istante, si verifica il “corto circuito” che la donna non sa gestire e che quindi dice di voler evitare. Che viene coscentemente spiegato dalla donna con la falsa scusa del valore della privacy.
Che consiglio do, quindi, alle donne che leggendo questo articolo hanno appena capito di vivere questa contraddizione?
Dato che vivere con due tesi alternandole non fa bene alla salute, consiglio di sceglierne una sola. E fra “Seguire il mio istinto naturale è brutto e peccaminoso” e “Seguire il mio istinto naturale è bello, giusto” consiglio quest’ultima.
Difficile?
Allora comincia prima possibile.
Servirà non solo a non aver fastidio quando un uomo parlerà con un amico dei vostri rapporti intimi: questo è un piccolo dettaglio. Il vero beneficio consisterà in una maggiore salute emozionale e relazionale.
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