Uh, l'eterna lotta fra il bene e il male.
E' giusto far questo? E' giusto che le cose stiano così? E' sbagliato? E' buono? E' cattivo? Che significa?
Per come intendo io queste parole, se si esclude l'accezione di "buono" e "cattivo" quando si parla di sapori e odori o indole, queste le mie risposte:
"Buono" = "Giusto" = "Che porta complessivamente più benessere e meno disagio a me"
"Cattivo" = "Ingiusto" = "Che porta complessivamente più disagio e meno benessere a me".
Eh sì. Piaccia o non piaccia, questi concetti sono soggettivi.
Siamo poco abituati ad ammettere la loro soggettività perché siamo d'accordo su molti punti su cosa è buono e giusto e cosa no. Ma nota cosa accade per la piccola percentuale di cose che ci vedono discordi: abbiamo la naturale inclinazione a pensare di aver ragione e che gli altri hanno torto. E dopo un lungo dibattito, spesso nessuno dei due "converte" l'altro. Anche quando si tratta di due persone entrambe intelligenti. Non si può dire chi abbia ragione e chi no: semplicemente hanno sensibilità diverse.
Forse un'eccezione è rappresentata da un delinquente o una qualsiasi altra persona che agisce in malafede e che afferma "Io mi comporto ingiustamente e lo so". In questo caso è l'azione che per sua stessa ammissione è ingiusta a portargli più benessere. Ma possiamo sorvolare su questa eccezione una volta presone atto, visto che è irrilevante all'interno dell'argomento di sto per parlare.
Per una maggiore possibile concordia fra persone e popoli è necessario riconoscere che il concetto di "Buono" e "Giusto" (e i loro opposti) come soggettivi e condividere più esperienze possibili per portare all'evidenza ciò che gli umani hanno in comune fra loro. Infatti gli umani, avendo una neurologia simile, probabilmente hanno valori diversi a causa di diverse esperienze; la condivisione delle esperienze e l'empatia sono la migliore strada per avere un'etica comune.
Metodo opposto è invece quello che nasce forse dalla paura che le persone comunichino fra loro per identificare un "bene comune". Mi riferisco al metodo dell'etica dogmatica, secondo cui esiste un bene e un giusto "standard" deciso da Dio, da una maggioranza di persone o da una élite, quindi un'etica a cui tutte le persone devono uniformarsi e a cui devono educare i propri figli ed allievi, curandosi di identificare come "deviate", "sbagliate" e "da correggere" tutte le tendenze individuali che vi si discostino.
Naturalmente questo secondo metodo è "falsato" perché, con la scusa di avere come scopo il bene comune o il piacere di Dio, consta di regole che vanno fondamentalmente a beneficio di chi le ha stabilite.
Ciò nonostante gli umani, che hanno una grande dipendenza dalle sicurezze e quindi dalle regole fisse, sono portati a far riferimento a un codice, al principio di autorità, etc, anche quando si parla di etica e non solo quando si parla di ambiti in cui un regolamento è funzionale quanto più è univoco, come il diritto.
Così nascono concetti come la "CORRETTEZZA" e la "DEONTOLOGIA". Due parole che mi fanno venire l'orticaria (tranne quando "correttezza" è sinonimo di "esattezza" e quindi non si sta parlando di etica).
Se un comportamento arreca un danno, basta dirlo: arreca un danno alla persona X, non è giusto, lo trovo sbagliato per questo motivo, etc. E per esprimere un concetto del genere non c'è nessun bisogno di aggiungere parole che non servono, come queste due.
"Correttezza" e "Deontologia": due termini usati per realizzare una diabolica opera in due fasi...
1) abituare le persone a credere che esista un codice etico oggettivo da rispettare, e che se non sei d'accordo con questo codice "ti sbagli";
2) usare una di quelle due parole per darsi un tono e dimostrare che si ha ragione.
A pochi viene in mente che non esiste una "correttezza" senza qualcuno che "corregge", che questo qualcuno non è Dio, ma semplicemente chi sta parlando, e che quindi la locuzione "per correttezza" significa semplicissimamente "secondo ciò che per me è giusto, a cui però voglio dare una connotazione di oggettività, perché non ho voglia che tu mi contraddica senza sentirti un dissidente".
- Ciao, sono Andrea, amico di Roberto. Mi ha detto di passare di qui per prendere il suo libro di fisiologia, ha detto che me lo presta volentieri
- Ah sì? Ok, aspetta un attimo... non è che non mi fidi di te, ma siccome lui non mi ha detto nulla gli telefono PER CORRETTEZZA.
Che bugie son queste? E' tutto il contrario. Non è affatto "per correttezza", che non significa un'emerita mazza, che gli telefoni. E' proprio perché non ti fidi. La sola cosa che ha senso in questa storia.
Deontologia. Pochi sanno che questa parola significa poco, poco poco, e che indebitamente a questa parola e ai suoi derivati viene conferito un sapore di oggettività.
Il "Codice deontologico" di una professione non è altro che un regolamento stabilito da un gruppo di persone che avevano certe opinioni su ciò che è giusto e cosa è sbagliato. Ad esempio, l'Ordine dei Medici e Odontoiatri di Roma stabilisce un codice deontologico che i medici e gli odontoiatri iscritti a quell'ordine devono rispettare se non vogliono essere sanzionati dall'Ordine stesso (che in realtà gode di una grande discrezionalità). Questo codice deontologico può essere diverso da quello dell'Ordine dei Medici e Odontoiatri di un'altra città, ed inoltre può cambiare nel tempo.
Dire "questo comportamento non è deontologicamente corretto" fa forse figo (alle orecchie di una persona che non ama pensare), ma non significa altro che "questo comportamento non è stato ritenuto giusto da alcune persone che hanno scritto un codice deontologico".
Quindi se qualcuno ti dice che il tuo comportamento non è deontologicamente corretto ti sta dicendo che le tue opinioni sono diverse da quelle di un gruppo di persone non meglio specificate che hanno scritto un libretto.
Però non ti dimostra in nessun modo che queste persone abbiano ragione. E non ti dice nulla per dimostrarti che stai sbagliando qualcosa.
Insomma, chi si richiama a concetti aleatori come la "correttezza" e la "deontologia" (che sono un po' il corrispettivo non religioso del "peccato") lo fa per dare un tono di oggettività a quello che sostiene senza darsi la pena di portare argomentazioni. E quindi facilmente ha torto, com'è tipico di chi usa parole jolly o frasi fatte.