10 aprile 2024

Intelligenze artificiali e il false friend "Consistente" riferito ai personaggi

Personaggio coerente (Bing)

Oggi troviamo online video e articoli sulle intelligenze artificiali dedicate alla grafica in cui compare l'espressione "consistente" riferita a immagini che rappresentano persone.

Un italiano normale a cosa pensa dopo aver letto "PERSONAGGI CONSISTENTI"? Pensa che se tocco uno di questi personaggi mi accorgo che non è molliccio, ma discretamente sodo. E quindi pensa subito dopo: "Boh".

Il mistero si risolve solo se qualcuno gli spiega il fenomeno dei false-friend all'incontrario, di cui ho già parlato nel blogpost pubbliato ieri. Ci sono due categorie di persone che di tanto in tanto pensano in inglese e poi traducono male in italiano, oppure hanno letto o ascoltato tizi che questo fanno e poi ripetono i loro errori. Si tratta di coloro che si occupano di marketing e vendita e coloro che si occupano di informatica.

Nella fattispecie, quando una persona che si occupa di intelligenze artificiali dedicate alla grafica dice erroneamente "personaggio consistente" intende dire ciò che in inglese si intende con "consistent character", dove quel "consistent" significa "coerente", nel senso che tende a mantenere costanti le proprie sembianze anziché cambiarle di continuo come accade nei filmati creati dai primi modelli di intelligenze artificiali, relativamente poco evoluti.

Dunque, premesso che ad esempio in un titolo per una video-guida è sbagliato scrivere "Come ottenere personaggi consistenti", qual è l'espressione migliore da usare?

La cosa che balza all'occhio in tutto questo, a parte la stortura linguistica è che dalla notte dei tempi, proprio come le persone reali, un personaggio di una storia di fantasia non cambia improvvisamente le sue sembianze, tranne i casi in cui una trasformazione del genere è peculiare per quella storia. Dunque normalmente se un personaggio non cambia le sue sembianze non è necessario specificarlo: sarebbe come specificare che non ha quattro braccia e non indossa una parruca con appese delle mollette verdi. Recentemente la necessità di specificare che il personaggio non cambia le sue sembianze si è resa in taluni contesti necessaria perché tutt'un tratto a causa delle intelligenze artificiali un gran numero di persone (pur all'interno di una nicchia) ha avuto a che fare con l'indesiderata mutevolezza delle sembianze dei personaggi creati.

Allora se vuoi trovare le parole giuste devi decidere a chi ti rivolgi.

Se devi parlare di mantenimento delle sembianze in un titolo, che deve essere composto di poche parole, sai già che il titolo perfetto per tutti non esiste. Non per questo dev'essere linguisticamente sbagliato. Sbagliato è peggio di "non immediatamente chiaro". L'espressione "personaggi con sembianze costanti" potrebbe essere abbreviato con "personaggi costanti" se ti rivolgi a persone avvezze alle AI per la grafica, sapendo che loro capirebbero, mentre gli altri potrebbero pensare che questi personaggi studiano o si allenano senza interruzioni che ne pregiudichino il rendimento. Avrebbero torto, e non per colpa tua. Mica hai scritto "nello studio" o "nell'allenamento".

Personaggio mutante (Bing)
Vero è che se ti rivolgi a un 73enne digiuno di informatica dicendogli "Ehi, guarda che bello! Con l'intelligenza artificiale sono riuscito a creare un film con un personaggio che non si trasforma di continuo!" è facile che ti risponda tipo "Bravo, molto affascinante che tu abbia creato un film con l'intelligenza artificiale. Però io da 60 anni guardo film con personaggi che non si trasformano di continuo. Perché, si dovrebbero trasformare?". Se invece ti rivolgi a una persona che ha contezza del problema del cambiamento di sembianze allora, sicuro di essere da lui capito, una cosa accettabile da scrivere secondo me è "personaggi costanti", ma io preferirei "personaggi non mutanti", che mi sta più simpatico e verrebbe sicuramente compreso da un informatico e neanche troppo frainteso da un profano delle AI.

Invece usare il false friend "consistenti" è proprio un errore, e il fatto che sia diffuso dovrebbe essere non una giustificazione come molti credono, ma anzi un ulteriore motivo di impegno da parte nostra a non usarlo per non contribuire al degrado della nostra lingua. Vedi anche il già citato blogpost precedente, "Italo-anglofono mutanti vittime dei false friend".

09 aprile 2024

Italo-anglofono mutanti vittime dei false friend

No, l'argomento di questo articolo non sono le troppe parole inglesi usate dai parlanti e dagli scriventi dello stivale mediterraneo, come leggendo il titolo potrebbe pensare chi non ha presente i false friend (cioè parole straniere molto simili ad altre appartenenti alla propria lingua ma di significato diverso, che perciò si prestano a una traduzione errata).

Parlerò non di prestiti linguistici, non di itanglese, non di traduzioni, ma di discorsi in italiano, fatti da italiani, costruiti con parole italiane. Parole non desuete né di nicchia, bensì di uso comune e di significato noto a tutti, che ciò nonostante vengono usate malamente in seguito a un particolare tipo di contagio anglofono, a mio parere poco discusso e poco affrontato rispetto alla sua importanza, alla sua pericolosità e alla sua penosità (porterò alcuni esempi verso la fine dell'articolo). Un fenomeno che produce errori lessicali apparentemente frutto di perdonabili lacune di persone di lingua madre inglese che scrivono o parlano in italiano senza averlo imparato benissimo, mentre in realtà i loro autori sono bizzarri individui nati e cresciuti nel nostro paese: gli italo-anglofoni mutanti.

Trattasi di persone cresciute senza maturare una grande padronanza della propria lingua, e che poi hanno letto articoli o libri nel ganzissimo idioma dei cosmopoliti, specialmente materiale su marketing e vendita, e di questo povero e ibrido bagaglio di esperienze comunicative sono rimasti inconsapevoli vittime e al contempo inconsapevoli carnefici dell'italiano, quant'è vero che usandolo successivamente per parlare degli stessi argomenti, a tratti lo distorcono, lo scozzano, creando una strana entità gergale come colpita da una pesante dose di radiazioni ionizzanti, un italianoide in cui l'incomprensibile si fa tragicomico quanto più brillante sta gente sembra sentirsi nel produrre il tremendo eloquio.

Lo scenario più tipico si configura quando l'italo-anglofono mutante tiene un corso o pubblica un video online, piazzando di tanto in tanto un'espressione che pare essere lì a caso, come un bug di un software. Alcuni ascoltatori non subiscono alcun danno che vada oltre una temporanea sensazione di smarrimento o imbarazzo, mentre i più indifesi vengono contagiati, ingrossando le file degli italo-anglofono mutanti di seconda generazione, che non necessariamente conoscono l'inglese e dunque magari si ritrovano a masticare e ri-tramandare le malsanità acquisite senza avere idea del perché.

Tento io di spiegarlo di seguito il perché, riferendomi a ciò che è accaduto e sta ancora accadendo agli italo-anglofoni mutanti di prima generazione.

Quelle storture lessicali (che guarda caso non compaiono nell'eventuale libro se il ragazzo riesce a farselo pubblicare da un editore famoso, perché lì c'è il revisore di bozze) sono a volte causate dalla convinzione che importando e magari italianizzando parole inglesi il messaggio risulti più accattivante o persuasivo (convinzione errata, anzi risulta semmai più pacchiano); altre volte, nei casi più gravi, sono dovute al tentativo di colmare le lacune di un vocabolario della propria lingua madre attingendo ad un inglese ancora meno padroneggiato.

Quando l'italo-anglofono mutante in un discorso cerca di esprimere un concetto usando una parola che non c'entra nulla, se ne accorgono tutti gli italiani che lo ascoltano o leggono (tranne chi pende dalle sue labbra, i deboli su menzionati). Se ne accorgono giovani, anziani, ignoranti, colti. Ma lui no, e questo sembra incredibile. Un italiano normale che trova questo tipo di errore in un testo scritto può pensare, come dicevo, ad una traduzione sbagliata; se invece lo sente in un discorso pronunciato da una persona palesemente italiana, allora può solo immaginare un brutto accadimento (un evento ischemico, un importante trauma cranico, un accumulo di farmaci, una tossicodipendenza).

Il brutto accadimento è stato fortunatamente meno grave e c'entra poco coi suddetti ipotizzabili, uno dei quali però per analogia può aiutare a capire ciò che voglio esprimere: in un momento di solitudine e debolezza potresti essere tentato di affrontare una tua carenza affettiva con una polverina bianca da aspirare col tuo naso, offerta da persone che fingono di volerti bene. È qui importante ricordare che può riempire un vuoto d'affetto solamente l'affetto, non i falsi amici. Così possono riempire un vuoto di vocaboli italiani solamente i vocaboli italiani, non i false friend. Abbi cura del tuo naso, e anche della tua lingua.

Per quanto conosco l'essere umano è difficile essere ottimisti su quello che sta accadendo all'italiano, il cui declino (dirlo mi fa molto male) mi pare lento ma inesorabile, perché pochi se ne occupano. È vero però che quando viene educatamente fatto notare quel tipo di errore di mutazione anglofonoide, di solito chi l'ha commesso si dimostra capace e disposto a correggerlo e a non ripeterlo in futuro. Questo mi dà un piccolo incoraggiamento a fare la mia parte per frenare il disastro, non solo descrivendo il problema, ma anche portando alcuni esempi su cosa dicono e scrivono gli italo-anglofoni mutanti. Così, se sei uno di questi, puoi prenderne coscienza e venirne fuori subito, evitando a partire da oggi una o più aberrazioni che fin ora hai creduto normali. Se invece non lo sei e ti viene in mente qualche altro esempio, scrivilo nello spazio commenti ed io eventualmente aggiornerò il blogpost.

L'italo-angolofono mutante legge in inglese
"Taking a chance" e poi parlando italiano dice
"Prendere una scelta".
No. Le scelte si fanno, non si prendono. Le decisioni si prendono.

L'italo-angolofono mutante legge in inglese
"It's a challenging venture" e poi parlando in italiano dice
"È un'impresa sfidante".
No. Puoi dire che un'impresa è stimolante. Ma non si usa il participio passato di "sfidare" per parlare di un'impresa, un progetto, un obiettivo o simili. Puoi dire "rappresenta una sfida" se proprio vuoi vedercela, ma allora sei tu che sfidi il progetto, non è certo lui a essere sfidante, dato che fino a un minuto fa se ne stava per i fatti suoi (vedi anche "No, quell'obiettivo non è "sfidante". Chi t'ha detto nulla?").

L'italo-angolofono mutante legge in inglese
"Save the date" e poi parlando in italiano dice
"Salva la data".
No. Si salvano i documenti elettronici. Si salvano le principesse dai draghi. Si salvano i compagni di classe andando volontari. Le date non si salvano. Si segnano.

L'italo-angolofono mutante legge in inglese
"Every day I take an omega 3 supplement" e poi parlando in italiano dice
"Ogni giorno prendo un supplemento di omega 3".
No. Col termine "supplemento" si intende qualcosa che si aggiunge a qualcos'altro che appare incompleto parlando tipicamente di un'opera di stampa o del prezzo di un bene o servizio. Il prodotto alimentare costituito da una fonte concentrata di sostanze nutritive e mirato a integrare la comune dieta ha un nome ben preciso e anche ben conosciuto: integratore. Usare al suo posto "supplemento" è come, al posto di "iniezione di insulina", dire "introduzione di insulina", o al posto di "Io vado, ciao" dire "Io mi allontano, ciao", cioè orribilmente inadeguato.

L'italo-angolofono mutante legge in inglese
"In my work I want to have consistent outcomes" e poi parlando in italiano dice
"Nel mio lavoro voglio avere risultati consistenti".
No. I risultati li vuoi duraturi, non duri alla palpazione. Ma quando mai "consistenti" ha avuto quel significato?

L'italo-anglofono mutante legge in inglese il titolo
"The secret of gardening explained" e poi scrive in italiano un articolo che intitola
"I segreti del giardinaggio spiegati".
Ma come fa a suonarti bene sta roba? In italiano "spiegato" alla fine di un titolo fa pietà, anche perché è sottinteso che un titolo costituisca la promessa di una trattazione di quell'argomento; è plausibile solo se seguita da una necessaria specificazione, ad es. "spiegato a un bambino". Se invece il titolo si riferisce a un'opera letteraria e c'è bisogno di indicare che è spiegata, e cioè commentata da un saggista, allora si dice "commentato".

L'italo-anglofono mutante legge in inglese
"Look at this microphone I bought online. It came with a nice case"
e traduce con
"Guarda questo microfono che ho comprato online. Veniva con una bella custodia".
Secondo lui gli accessori vengono. NO. Gli accessori corredano un oggetto. La confezione comprendeva anche quell'oggetto. Certo, è vero che gli accessori "vengono con", nel senso che viaggiano nello stesso pacco, ma l'idea che si vuole esprimere riguarda l'essere inclusi nel prezzo, non il viaggio (altrimenti si userebbero altre parole ancora, ad es. "viene incluso nella stessa spedizione").

L'italo-anglofono mutante legge in inglese
"Having a negative attitude can prevent you from achieving your goals."
e parlando in italiano dice
"Avere un'attitudine negativa può ostacolarti nel raggiungere i tuoi obiettivi".
Ma in italiano "attitudine" significa "talento", "capacità". Cosa che tu non hai, se non sai che "attitude" si traduce con "atteggiamento".

L'italo-anglofono mutante legge in inglese
"decade" [pronunciato "dékeid"], che significa "decennio".
e parlando italiano dice "decade" [pronunciato "dècade"] credendo che sia sinonimo di decennio, e invece significa "periodo di 10 giorni".

L'italo-anglofono mutante legge in inglese
"anyway"
e quando parla in italiano dice "in tutti i casi" o "in qualsiasi caso".
Sbaglia, perché se si vuole esprimere quel concetto, come tutti sanno, si dice "in ogni caso" o "comunque".

Purtroppo esiste una parte, per fortuna minoritaria, di italo-anglofono mutanti che quando pur educatamente gli fai notare un abominio di questo tipo ti dà del grammar nazi.

No: grammar nazi è chi ti fa le pulci sulle piccolezze. Ma queste insensate, folli, improponibili varianti dell'italiano non possono essere piccolezze, se inducono a dubitare che l'autore sia di madre lingua italiana. E sminuire inaudite devianze sintattiche introvabili nei quaderni di qualsiasi bambino di 6 anni ne innalza la gravità.

Se pensi che io sia esagerato potresti cambiare idea considerando ciò che anni fa sentii uscire dalla bocca di una ragazza italiana: invece che "agisci" o "passi all'azione", pensando in inglese "take action" questa ragazza disse "prendi azione".

Devo rimanere indifferente? Sono un grammar nazi se denuncio un problema che sta fruttando figuracce a persone convinte vada tutto bene, come avessero sulla schiena l'etichetta "scemo" appiccicata di nascosto da un burlone, persone che semplicemente cerco di aiutare e proteggere da ciò che sta loro succedendo e che potrebbe succedere a chi sta loro intorno? No a entrambe le domande.

Ripeto, si tratta di parole di uso comune, e quindi non c'entra l'essere più o meno colti, giovani o anziani. Non c'entra neanche l'essere gente confinata in un paesino o giramondo. Né è una questione di registro linguistico. Nessun registro linguistico include questo vergognoso e inensato schifo di cui sono mio malgrado testimone.

Se violenti l'italiano e non te ne accorgi, mi sento in dovere di fartelo notare per bene tuo, mio e di chiunque altro. Se poi sei così pigro da voler errare in libertà e anzi sostieni che si tratta della normale trasformazione della lingua, bada che la trasformazione è la tua, la stessa che punì un pigro burattino, con la differenza che lui se ne accorse e lo considerò un problema.

19 marzo 2024

La paura del rifiuto di una donna spiegato allo zio sempliciotto

Niente di granché speciale in questo articolo. Solo un riassuntone di alcuni concetti alla portata di chiunque, a patto che si sia disposti a una piccola riflessione. Un articolo per le persone a cui questa piccola riflessione non viene spontanea. Se fra queste c'è anche chi non ha voglia di leggere tutto quanto, il messaggio super-riassuntivo è il seguente: non tentare di incoraggiare i ragazzi che non se la sentono di approcciare una ragazza. Non sarai tu a convincerlo. Il tuo tentativo di persuasione = molestia.

Spesso un ragazzo non ha il coraggio di mostrare i propri sentimenti a una donna di cui è invaghito, anche quando non c'è motivo di escludere una reciprocità. Lo zio sempliciotto fa notare al ragazzo che proporsi significa avere per lo meno una qualche possibilità di successo, mentre non proporsi significa non averne alcuna. Questa banale e superficiale osservazione non tiene conto di due aspetti quantitativi della posta in gioco:

- quanto il ragazzo crede sia alta la probabilità di successo (spesso poco)
- quanto sarebbe grande il suo disagio in caso di rifiuto (spesso molto)

Il ragazzo sceglie di proporsi oppure no dopo aver messo sui due piatti della bilancia questi due elementi.

A questo proposito credo che il secondo elemento meriti una particolare riflessione. Perché il rifiuto arreca un così grande disagio da indurre un ragazzo a rinunciare da subito? Perché, rispetto al rimanere soli senza aver fatto nulla, rimanere soli dopo averci provato porta un disagio aggiuntivo così importante?

Per più motivi:

- Per non illuderlo che il rifiuto non sia definitivo, lei potrebbe da quel momento in poi adottare un comportamento distaccato
- Essere rifiutati è un'umiliazione. Questo si dice di solito. Ma essendo "umiliazione" un termine troppo astratto, preferisco dirla così: lui, per aver rivelato questi sentimenti poi non ricambiati, teme che lei possa sentirsi in qualche modo superiore e farglielo pesare in futuro
- Altre persone possono venire a sapere che quel ragazzo è stato rifiutato, e questo lo fa apparire meno attraente per il meccanismo di riprova sociale. Magari se accade una sola volta lo screditamento pubblico sussiste poco o nulla, ma già al terzo o quarto rifiuto acquisisce una importanza non indifferente.

I motivi menzionati fin qui riguardano un aspetto strategico: il ragazzo vuole evitare che accadano determinate cose nelle relazioni con gli altri.

C'è poi una motivazione che riguarda la propria natura e le proprie risorse: è spiacevole venire a sapere che come siamo fatti non va bene e che le nostre risorse sono poche, e se già lo sappiamo non vogliamo che venga ribadito, perché ogni volta che accade proviamo un grande dolore.
Il ragazzo che viene rifiutato si rende conto di non essere abbastanza bello, o abbastanza divertente, o abbastanza intelligente, o abbastanza ricco, o comunque abbastanza qualcosa. Raccontarsi che è soprattutto lei a perderci (il che magari è vero), e che se lui non piace a una donna potrà piacere ad un'altra (il che è possibilissimo), non smentisce un dato di fatto portato alla dolorosa evidenza: quel ragazzo non possiede i requisiti per piacere a lei, che è molto probabile siano gli stessi necessari a piacere a molte altre donne.

Un'altra motivazione riguarda il brusco ribaltamento dello scenario immaginato: un ragazzo che si propone a una ragazza ha in mente uno scenario in cui loro due sono insieme. È un'inevitabile film in testa che, per quanto maturo, il ragazzo più o meno volontariamente creerà. Può essere un film breve, sbiadito, un film che sa benissimo essere solo un film. Ma c'è, è bello e viene in una qualche misura vissuto. L'eventuale rifiuto distrugge questa gradevole esperienza in un istante, e questo dà una sensazione di tristezza, delusione e sfiducia nella propria capacità di interpretare le possibili future relazioni.

Se un ragazzo è reticente ad approcciarsi a una ragazza per tentare di sedurla, lo zio sempliciotto dovrebbe sapere che, nella testa del "timido" ha luogo uno o più dei meccanismi descritti sopra, e nessuno di essi può essere eliminato da frasi fatte e già sentite.
Brutto dirlo, ma se un ragazzo ha paura di essere rifiutato probabilmente ha ragione a non proporsi, perché una donna a cui un ragazzo piace di solito glielo fa capire inequivocabilmente.
Non ha bisogno di un incoraggiamento. Non ha bisogno che uno zio sempliciotto lo inciti a correre per schiantarsi contro un muro per poi pretendere che si rialzi e corra a testa bassa contro il prossimo, né che gli si spieghi che schiantarsi non fa male.
Il bisogno che ha davvero è quello di migliorare, per quanto possibile, sé stesso, nei gli aspetti in cui è più carente dal punto di vista dell'attrattività. Ad esempio (in ordine sparso) il suo aspetto fisico, il suo odore, la sua salute mentale, la sua comunicazione.

12 marzo 2024

La strana richiesta della MASSIMA CONDIVISIONE

Ogni tanto vedo gente che scrive un post su Facebook e chiede di condividerlo. Se c'è un buon motivo, nulla di male, nulla di anormale.

Anormale mi pare invece scrivere "MASSIMA CONDIVISIONE".

Mi dovrebbero spiegare perché scrivono così.

Massima in che senso? Come faccio a condividerlo al massimo? Lo condivido parecchie volte? Bleah. Stuccherei a chiunque. Del resto tu non l'hai fatto. Hai pubblicato una sola volta scrivendo quella strana cosa in maiuscolo (che no, non è più persuasivo del minuscolo).

Massima nel senso che lo devono condividere tante persone?
In tal caso guarda che io ho il controllo solo sul mio account e sulla mia persona. Non immaginerai che io e il tuo gruppo di FB friend (molti dei quali non conosco) ci riuniamo per accordarci su quanti di noi condivideranno a seconda del fatto che tu chieda una condivisione scarsa, media o massima. Molto più semplicemente, se trovo il tuo post meritevole di essere condiviso lo condivido, altrimenti no. Senza alcuna possibilità di dosare la condivisione, tipo cliccare piano o cliccare pigiando ben bene.

Cos'altro avrai voluto dire con "MASSIMA CONDIVISIONE"?

Boh.

Forse intendi che io devo stampare il tuo post e vada a fare volantinaggio? Dillo chiaramente. Sii specifico. Se no "MASSIMA CONDIVISIONE", scritto così, sembra tipo una formula magica. MASSIMA CONDIVISIONE! ...E KABOOM, un fulmine nel cielo e pioggia di volantini.

Mah.

11 marzo 2024

Gli animali schifosi (da ammazzare?)

Quando diciamo "schifoso", che ce ne rendiamo conto o no, parliamo di estetica: un disegno schifoso è un disegno brutto, una canzone schifosa è una canzone brutta; è schifoso un odore o un sapore quando una roba è sgradevole all'odorato o al gusto; è schifoso un comportamento che non solo risulta scorretto e immorale, ma è anche particolarmente spiacevole secondo chi lo osserva. Tutti aspetti che concernono la non-piacevolezza. Un aspetto estetico.

Fanno eccezione gli animali?

Uhm

Fanno ipocritamente eccezione.

Noi umani chiamiamo spesso "schifosi" alcuni insetti, ragni, topi, o altri cosiddetti "animalacci" che in realtà possono renderci la vista scomoda o rappresentare un vero o presunto pericolo, ma non hanno nulla di schifoso. Cioè non sono davvero brutti. Non è questo il motivo per il quale ci spaventano.

Lo si capisce se si pensa al fatto che proviamo disagio vedendoli in casa nostra, ma già meno all'aperto, e per nulla se li vediamo in un documentario in TV; anzi, in quest'ultimo caso addirittura li vediamo super-zoomati e diciamo che sono affascinanti, il che include l'essere belli da osservare o, più semplicemente, belli.

Vediamo allora quali sono gli animali davvero schifosi, e cioè brutti. Vediamo quali sono i veri animalacci, almeno dal punto di vista visivo.

Già, l'avete capito, è banale: i tacchini. Posso dirlo con tranquillità, perché so che nessun tacchino legge questo blog, e confido nell'intelligenza di chi legge e che immagino non riferirà ai tacchini nulla di quanto ho appena affermato.

Poi c'è un altro animale, che non è sempre schifoso, ma lo è nella maggioranza dei casi, lo è in media, tanto da poter dire che è tutto sommato schifoso con ottima approssimazione: l'umano.

Mediamente l'umano è brutto, infatti è costretto ad andare in giro vestito... per non fare schifo a chi? Ad altri animali? No. Agli individui della sua stessa specie, addirittura.

Fanno eccezione contesti in cui si è abituati ad avere a che che fare con umani nudi, perché l'abitudine ha il potere di mitigare un po' tutto. Dunque tutto quello che dico in questo articolo vale nella maggior parte delle situazioni e non ad esempio per il mestiere di vari operatori sanitari o per chi usa le docce comuni di palestre o piscine. E chiaramente tutto quello che dico non è rivolto a chi probabilmente non lo leggerà, cioè a persone appartenenti a civiltà primitive dove andare in giro nudi è normale.

Dicevo: in media gli esseri umani, al naturale, fanno schifo agli esseri umani.

Non facciamo confusione con il buon costume e la legalità: certo, è maleducato e illegale andare in giro nudi, ma il motivo per il quale proviamo un senso di schifo vedendo una persona nuda per strada non riguarda il malcostume o l'illegalità. Se vediamo un'automobile che passa col rosso, e il cui conducente sta mostrando il dito medio a tutti, pensiamo "Che imbecille", non "Che schifo". Questo perché disprezziamo l'imprudenza, l'irresponsabilità, la non eticità, la stupidità del suo comportamento, non la sua estetica.
Se invece vediamo un tizio o una tizia senza alcun indumento in un luogo pubblico... certo, pensiamo ANCHE che sia una persona malata di mente oppure un imbecille che vuol fare un qualche esperimento sociale o chissà cos'altro, ma la prima cosa che viene in mente è un senso di schifo. Abbiamo una sorta di disagio viscerale, come quando si ha a che fare con un cibo andato a male o a un oggetto maleodorante o si sente un rumore altamente cacofonico.

Lo so, esistono persone belle, che un senso di schifo non susciteranno, ma sono relativamente rare. La maggior parte delle persone ha una o più delle seguenti caratteristiche:

- ha un brutto sedere

- ha un brutto seno

- è sovrappeso

- ha un brutto scheletro

- ha uno o più specifici elementi anatomici del volto (naso, orecchie, mento, occhi) sproporzionati o di forma diversissima rispetto a come dovrebbero essere per rientrare nei canoni di accettabilità estetica

C'è una grande quantità di esseri umani spiacevoli da guardare anche quando sono vestiti, e cioè le persone sovrappeso, le persone che hanno un brutto volto pur essendo giovani e quelle che hanno un brutto volto a causa dell'invecchiamento.

SCHIFOSO = DA AMMAZZARE?

Io non ammazzo un umano per il solo fatto che lo ritengo schifoso. Forse se una persona brutta entrasse nuda in casa mia senza il mio permesso mi verrebbe inizialmente una qualche voglia di ammazzarla e destrutturarla dandole fuoco. Certamente se non la ritenessi pericolosa frenerei il mio istinto omicida per la solidarietà di base che solitamente gli umani hanno per individui della stessa specie.

Se però vedo in casa mia uno scarafaggio, che ovviamente non è né vestito né è stato da me invitato, io non mi faccio problemi ad ammazzarlo. Anzi, se riesco lo ammazzo proprio. Proprio mentre scrivo questo articolo rifletto sul perché io ammazzo gli scarafaggi e non faccio lo stesso con ragni e cimici (che solitamente prendo delicatamente con uno o più cartoncini per buttarli fuori). E rovistando nella mia mente noto che peculiarità dello scarafaggio è avere al tempo stesso le seguenti caratteristiche:

1) è nocivo per motivi igienici

2) è molto brutto e quindi è spiacevole averlo intorno (sì, anche se lo guardo in un documentario penso "che brutto")

3) mi sta antipatico perché si muove molto velocemente (scappa e vuole fare sempre come gli pare, non è che lo si può invitare a salire su un cartoncino e avere il tempo di accompagnarlo all'uscita)

4) nessuno gli ha detto di entrare in casa mia (e se gliel'ha detto comunque non doveva entrare lo stesso, perché è a me che devi chiedere se puoi entrare in casa mia, non a una persona o a un animale a caso)

5) se lo liberassi all'esterno potrebbe entrare nuovamente nella mia abitazione o entrare in una abitazione altrui in qualche modo (ad esempio nello stesso modo usato in precedenza); potrebbe farlo lui o gli individui che genererebbe riproducendosi

Dal quinto motivo si capisce perché, se posso e se non mi richiede troppo impegno, ammazzo anche uno scarafaggio se lo vedo nei dintorni della mia o di una qualunque altra abitazione. Per la verità lo ammazzo anche se lo vedo lontano da un centro abitato. Del resto gli scarafaggi che vivono nei centri abitati ci sono arrivati partendo da luoghi inabitati, loro o le loro generazioni precedenti. Dunque, visto che fra l'altro dal mio punto di vista non apportano al mondo alcun beneficio, ritengo auspicabile la loro estinzione. Non illudendomi di ottenerla, mi limito ad ammazzare scarafaggi quando ne ho occasione, facendo la mia parte per limitarne l'espansione.

Insomma,

se ti comporti da invadente, se mi importuni nel posto che confido essere garanzia di tranquillità, la mia abitazione (che ho acquistato con soldi guadagnati onestamente e faticosamente, e che rappresenta il mio rifugio e luogo di relax dopo una giornata di lavoro) magari posso anche perdonarti. Ti perdono se sei un essere che abbia per lo meno un lato positivo, ad esempio sei bello, oppure inoffensivo, o simpatico, o sei un essere che dimostra di capire di aver sbagliato in quanto dalle mie parti non è aria non perché io sia cattivo, ma perché se dovessi far entrare in casa mia tutti gli animali che lo desiderano diventerebbe un micro-zoo, nel quale fra l'altro dovrei stare attento a come cammino per non ammazzare nessuno. Se invece non hai un solo lato positivo, uno che sia uno, diamine, allora non so proprio per quale motivo dovresti meritare di rimanere in vita.

Ma

se avessi la garanzia che gli scarafaggi stessero e rimanessero in un luogo circoscritto, quindi "noi di qua, voi di là", non andrei certo ad invadere il loro territorio per sterminarli. E se ci fosse una terra di mezzo di coesistenza di umani e scarafaggi, tutto ok. Li considererei brutti, vero, non è che cambiano i gusti estetici in base al comportamento, ma li rispetterei evitando fra l'altro di far loro pesare una bruttezza non derivante da una loro colpa.

Non ritengo plausibile dire "lo ammazzo perché mi fa schifo".

Per ammazzare ritengo necessarie motivazioni aggiuntive, come quelle descritte nell'elenco sopra.

Se non ne sei convinto, ti invito ad immaginare la reazione emotiva che avrebbe la maggior parte della gente della società in cui vivi vedendoti nudo/a. La maggior parte della gente non allenata a vedere persone nude non tenterebbe di procurarti la morte, né te la augurerebbe. Eppure gli faresti schifo. Non perché sei riverso a terra dopo un'ubriacatura e stai giacendo in una pozza di vomito. Non perché sei stato colto da un attacco di diarrea e non hai fatto a tempo a raggiungere il bagno. Lavati pure, improfumati e pettinati quanto ti pare: tu, se non nascondi la maggior parte del tuo corpo con dei vestiti, fondamentalmente non ti si po guardà. Non è una considerazione proveniente da esseri divini o in qualche modo superiori come siamo noi in confronto agli scarafaggi. Fai schifo agli esseri della tua stessa specie, siano essi più belli di te, di pari grado estetico o anche più brutti.

Se hai letto con un sorrisetto di sufficienza pensando che ciò non vale per te in quanto fai parte di una minoranza essendo bello/a, ti invito a considerare la stessa cosa fra qualche decina di anni, o a pensare a una persona anziana a cui vuoi bene.

Questo breve esercizio di immaginazione potrebbe aiutarti a capire che dire "Ammazzo questo animale perché fa schifo" significa darsi la zappa sui piedi, perché l'essere che fa schifo per eccellenza è, purtroppo per noi, l'essere umano.
Per dimostrarlo mi è bastato fermarmi all'aspetto visivo. Non ho neanche avuto bisogno di infierire menzionando quanto ulteriormente aumenta lo schifezzeria dall'essere umano a causa dei vari materiali che il suo corpo emette, per i quali rimando alla canzone "Silos" di Elio e Le Storie Tese.
Né c'è stato bisogno di menzionare l'aspetto gassoso, che vede l'umano responsabile di cattivi odori molto più di altri animali popolarmente definiti schifosi come insetti, ragni, etc.
Ah, e non ho avuto bisogno di ricordare che mangiare carne di tacchino è dai più considerato normale, mentre mangiare carne umana è considerato, guarda un po', schifoso.

Alla luce di tutto ciò forse non dovrebbe stupire il fatto che vedere sull'asfalto dello sterco di cavallo o di cane suscita decisamente meno schifo rispetto a vedere analogo oggetto sapendolo esternato dall'animale più intelligente, ma anche più ipocrita di tutti.