Sia la violenza fisica che la violenza a parole possono avere una gravità minima, dando come conseguenza nessun fastidio o un piccolo fastidio, avere una gravità massima, provocando cioè grande dolore o morte (es. una coltellata nel primo caso e la riuscita istigazione al suicidio nel secondo caso), con le varie vie di mezzo.
Alla domanda posta a bruciapelo "
È più grave la violenza fisica o quella a parole?" la persona media su due piedi risponde senza esitare che è più grave quella fisica.
Il motivo risiede nel fatto che, sentendo nominare la violenza fisica, solitamente la prima immagine che viene in mente è una violenza grave e ingiustificata, mentre pensando alla violenza a parole si immagina un semplice ed isolato sproloquio, magari risultato di una perdonabile esagerazione.
La mente dà le prime e veloci risposte per stereotipi: se si chiede a una persona di immaginare un cane e un gatto quasi sicuramente il cane verrà immaginato più grande del gatto, anche se in realtà non è sempre così.
La nostra mente razionale sa invece che alla domanda "È più grande un cane o un gatto?" la risposta giusta è "Dipende"; alla domanda "Corre più velocemente un 65enne o un 20enne?" la risposta giusta è "Dipende".
Se poi alle suddette domande aggiungiamo la parola "mediamente", allora le risposte corrette saranno le stesse che la nostra mente dà per prime: "Il cane" e "Un 20enne". Ma la parola "mediamente" nel mio quesito iniziale non era presente.
Ciò puntualizzato, la persona interrogata sui due tipi di violenza potrebbe correggersi e dire "Dipende". Ma non ci scommetterei, perché spesso non è così. Ed è questa la parte che ritengo particolarmente interessante di questo tema. Molti sostengono che no, non dipende: la violenza fisica è più grave di quella a parole in tutti i casi, senza se e senza ma. Perché?
Questi, secondo me, i motivi:
- La violenza a parole ha talvolta conseguenze nulle o lievi o auto-risolutive in poco tempo, ed inoltre è sottostimata
in quanto spesso le persone, anche se ferite profondamente dalle parole
di qualcuno, non vogliono ammetterlo, per non mostrarsi deboli o perché
vogliono dimenticare il fatto prima possibile.
- Se sommiamo gli eventi ed i danni, vediamo che la violenza fisica ha fatto e fa molto più danno. Considerando il periodo che va dalla preistoria a qualche anno fa, sicuramente ha provocato più danno la violenza fisica rispetto a quella verbale; in più, questo non ha mai smesso di valere per luoghi magari lontani da dove viviamo noi, ma di cui abbiamo notizia grazie ai mass media, vedi ad esempio le guerre presenti in molti luoghi del mondo.
Ecco che la maggior gravità della violenza fisica è un'idea che si è fissata in un immaginario collettivo millenario, dunque difficilmente sradicabile in pochi decenni.
- Come tipicamente accade per le idee grossolane, il fissaggio di questa idea è rafforzato dal bisogno di trovare delle regole facili da applicare e che consentano di emettere un giudizio senza bisogno di ragionare, approfondendo meno possibile: se non ho tempo né voglia di indagare su chi abbia ragione e chi torto fra quei miei due figlioli, o scolari, o dipendenti, etc, mi viene in soccorso la comoda linea di demarcazione comunemente accettata, secondo cui chi ha alzato le mani per primo ha torto indipendentemente da cosa l'altro abbia detto, indipendentemente da quanto e in che modo abbia diffamato, indipendentemente dalla lunghezza del periodo in cui ha vessato l'altro, etc., e anche indipendentemente dall'entità della violenza fisica o presunta tale, che può anche essere costituita da una innocua spinta su una spalla.
- Il fatto che quella linea di demarcazione sia comunemente accettata contribuisce alla conservazione di quell'idea, perché fornisce delle semplici quanto obbligate istruzioni alle persone investite del compito di giudicare (giudici dei tribunali, genitori, insegnanti, responsabili aziendali che a loro volta devono rispondere del loro operato ai loro superiori, etc). Difficilmente si scardina un modo di agire semplice e al tempo stesso obbligatorio.
Sulla scriteriata idea "la violenza fisica è sempre più grave di quella verbale", accettata a scatola chiusa, talvolta possiamo in realtà osservare il triste sigillo dell'accettazione a malincuore. Cioè una sorta di auto-censura del proprio sentire in favore di una valutazione utopisticamente opinabile ma in pratica inevitabile e dunque in fin dei conti da considerare giusta: "Sono contento che tu abbia menato quel collega stronzo, che se l'era palesemente cercata, ma era ovvio che il datore di lavoro ti desse fermamente torto marcio, come altro avrebbe dovuto agire?"
È una domanda retorica, ma rispondo lo stesso: secondo me avrebbe dovuto impegnarsi con ogni mezzo per minimizzare le conseguenze negative subite dall'aggressore fisico e massimizzare quelle subite da chi ha aggredito a parole, se quest'ultimo davvero se l'è cercata.
Un'argomentazione a favore della maggior gravità della violenza fisica potrebbe essere la seguente:
"Quando si tratta di violenza a parole le due persone in conflitto sono ad armi pari, mentre quando si tratta di violenza fisica vince il più forte anche se ha torto"
Si tratta di un'argomentazione fallace: in un diverbio non è detto che i due siano ad armi pari. Può darsi che uno dei due sia più loquace, o goda di maggior simpatia presso gli astanti, o abbia una voce più forte (magari perché sta parlando a un microfono), o in una chat abbia tecnicamente la possibilità di zittire la vittima continuando a sparlarne, e dunque riesca a far del male all'interlocutore prevalendo su di lui ed umiliandolo indipendentemente dal fatto di avere ragione o torto.
Quindi?
Quindi alla domanda "È più grave la violenza fisica o quella a parole?"
la mia risposta è Dipende.
Do questa risposta attingendo alla mia etica, ma non solo.
Anche secondo la legge è così. Infatti può essere comminata una pena minima a una persona che commette una violenza fisica, se si tratta di una violenza lievissima o con importanti attenuanti, o se addirittura è classificata come violenza fisica solo per motivi formali, e può essere comminata una pena importante per una violenza verbale se il giudice ritiene che questa abbia avuto come conseguenza un grande patimento o addirittura il suicidio.
Come sempre il concetto è facilmente comprensibile grazie ad esempi estremi, ma questi dovrebbero anche essere uno spunto per capire che più in generale la valutazione è bene sia fatta sobriamente, caso per caso, e soprattutto valutando non solo l'atto, ma le sue conseguenze sul destinatario, che può essere più o meno in grado di sopportare un colpo, o più o meno in grado di reagire a parole violente.