25 luglio 2018

La storia la scrivono i vincitori comunisti?

La storia la scrivono i vincitori?
Ci sono i complottari, ci sono i negazionisti, ci sono i "te lo dico io com'è andata", e fra questi ci sono quelli che dicono che la storia la scrivono i vincitori.

Questo proverbietto potrebbe essere veritero se la parola "storia" significasse "i discorsi da bar sulla storia", o "le citazioni sulla storia dei politici in campagna elettorale", o "le nozioni di storia della scuola superiore che la maggior parte di persone si ricorda dopo aver definitivamente smesso di studiarla".

Ma la parola "storia" non significa questo.

Certo, esiste, a causa delle tendenze ideologiche di politici e politicanti, la propensione a evidenziare alcuni fatti storici, mentre altri vengono minimizzati, ridimensionati o addirittura messi in dubbio o negati.

Ma nessuno, durante o dopo la seconda guerra mondiale, ha bruciato ed eliminato i altro modo la documentazione che ci consente di conoscere verità complesse e dettagliate.

Si può discutere su quanto siano giusti o sbagliati il tuo o il mio credo politico, ma non si possono giustificare le proprie tesi dicendo che semplicemente "la storia la scrivono i vincitori, quindi quello che fino a ora hai creduto di sapere probabilmente è falso e bah, chissà com'è andata, dammi retta, probabilmente è andata in quest'altro modo, dai retta a me".

Do retta a te? Perché mai dovrei?
Anche ammesso che la documentazione storica sia stata selezionata e manipolata, chi sei tu per ricostruirne i pezzi mancanti con tanta sicurezza?

Un po' come dire che siccome in una storia di terrorismo c'è qualche punto oscuro, che vede i terroristi comportarsi in maniera insolita, o realizzare cose che di solito non sono in grado di realizzare, allora i giornali ci hanno detto un sacco di bugie e quindi di sicuro l'atto terroristico è stato organizzato dagli americani.
 
Lo pseudo-storico autodidatta è in malafede oppure non sa distinguere due situazioni molto diverse fra loro:

1) la mancanza di documentazione storica disponibile, o sua alterazione
2) il non aver studiato abbastanza.

Con il dilagare dei movimenti neofascisti o di opinioni riduzioniste sulle responsabilità di Benito Mussolini, secondo cui il fascismo è stato per l'Italia vantaggioso o comunque la cosa meno peggio, c'è un grande bisogno di ribadire che il vero problema di oggi fra i due elencati sopra è il secondo, non il primo.

La storiografia è una scienza. Non dà spazio ad opinioni. Esistono precisi criteri che ci consentono di distinguere una tesi storica degna di credito, una tesi senza solido fondamento e una tesi falsa. Proprio come esistono criteri che consentono di leggere uno studio scientifico e individuare il livello di evidenza delle sue conclusioni.
Sono criteri complessi, che possono essere padroneggiati e messi in pratica da persone che li hanno studiati, e non dal primo scemo che dice "Te lo dico io com'è andata", o "Leggiti questo link e informati". Se un argomento ti interessa e vuoi pronunciarti senza l'alto rischio di sparare stupidaggini antiscientifiche e antistoriche non ti devi "informare". Devi studiare.

Ma purtroppo qualcuno crede che 2 ore di navigazione su un sito di un fascistoide o di un negazionista possano portare a una conoscenza maggiore di quella contenuta nei libri di storia e nella documentazione a cui i loro autori hanno attinto e a cui può attingere chiunque.

Purtroppo qualcuno ogni tanto tira fuori il proverbio "la storia la scrivono i vincitori", che è vero solamente all'interno dei regimi totalitari, dove c'è il divieto di diffondere informazioni scomode al governo, divieto che per fortuna ad esempio in Italia non vige.

La storia non la scrivono i vincitori. La scrivono gli storici.

E se escludiamo i paesi totalitari, la storia non viene diffusa da tifosi e non c'è discordanza fra storici delle varie parti. Ad esempio gli storici appartenenti a una nazione che ha perso una guerra non sono in disaccordo con gli storici della nazioni che l'ha vinta.

Questo perché la storia non è fatta di chiacchiere, ma di documenti e della loro corretta e imparziale lettura.

Ma attenzione, esiste anche un'altra obiezione: "Inutile chiedere a un laureato in storia di spiegarti com'è andata la storia del '900 in modo imparziale, perché gli studenti di storia sono tutti comunisti".

Che è un po' allo stesso livello di "Gli studi scientifici sui medicinali sono tutti pilotati dalle case farmaceutiche".

Ah, dimenticavo: "E se lo neghi sei uno di loro".

Ok. Sono antifascista e quindi ovviamente sono comunista. Come tutti, ma proprio tutti gli studenti e i professori di storia.

Ma adesso che di nuovo populismo, xenofobia e mentalità di destra rappresentano i vincitori (risultati elettorali e sondaggi parlano chiaro), vorrà dire che fra qualche anno essere anticomunista significherà essere fascista?

Boh. Non ciò capito tanto. Spiegamelo te, navigatore web della domenica, che di storia ne capisci, mica chi ha studiato.

11 luglio 2018

Puoi davvero essere amico di centinaia di persone?

Di nuovo, ho investito del tempo per risparmiare tempo. Ho dedicato qualche secondo a ogni Facebook-friend per decidere se tenerlo o cancellarlo dalla mia lista di amici (oltre 600). Poi ho pubblicato un aggiornamento di stato con un messaggio in cui spiegavo che no, almeno io non me la sento di dirmi amico di centinaia di persone, e che quindi ne avrei cancellate molte.

Consiglio a tutti di fare lo stesso. È una questione di chiarezza.

Ecco il mio messaggio, pubblicato ieri 10 luglio 2018...



Secondo me fra le cose che puoi aspettarti da un amico c’è il fatto che sia interessato agli eventi della tua vita e a tutte le cose di cui vuole renderti partecipe.

Se sei su Facebook, può darsi che questo sia il tuo principale mezzo per comunicare con amici che non vedi spesso. Quindi se sono tuo amico su Facebook, hai ragione di aspettarti che io guardi o ascolti i tuoi post.
Infatti che amico sono se rischio di perdermi le tue notizie, magari importanti, sia belle che brutte, e che presupporrebbero da parte mia congratulazioni o parole di cordoglio?

Insomma, secondo me presuppone un impegno, il considerarsi amico di qualcuno (non importa se su Facebook o altro luogo).

Se mi rendo conto di non essere davvero amico di una persona, e che quindi seguire le sue notizie non è una priorità, credo che cancellarla dalla lista di amici di Facebook sia un segno di rispetto, di trasparenza. Significa non volerla illudere di un rapporto che in realtà non c'è.

Questo farò a breve, rimanendo con poche decine di amici, per poter coerentemente dedicare a Facebook pochi minuti al giorno. Essere amico di centinaia di persone, almeno per me, è impossibile.

Quindi chi verrà cancellato sappia che è una questione di tempo e non di antipatia nei suoi confronti (magari in certi casi anche, ma insomma non necessariamente).

Comunque tutti (tranne le persone che ho bloccato, chiaramente) possono comunicare con me in chat se necessario, e seguire i miei post pubblici (che sono la maggioranza) andando sulla pagina del mio profilo e cliccando su "Segui"… e anche cliccando “Mi piace” sulle 3 pagine che gestisco, e cioè “Psicoperformance”, “Valdarno Salute e Fisioterapia” e Umanitamtam, di cui metto i link nel primo commento di questo video.

E, con l'occasione, ecco i link:

Pagina "Psicoperformance":
https://www.facebook.com/Psicoperformance/

Pagina "Valdarno Salute e Fisioterapia":
https://www.facebook.com/valdarnosalutefisioterapia/

Pagina "Umanitàmtàm":
https://www.facebook.com/umanitamtam/


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Ripeto, se anche tu hai centinaia di persone nella tua lista di Facebook, ti consiglio di fare qualcosa di simile. Perché sì, anche su Facebook "amico" dovrebbe significare proprio "amico" (e no, avere tanti amici su Facebook non può essere un buon modo per pubblicizzare la tua azienda). Ho parlato di questo nell'articolo intitolato "Amicizia agli amici, anche su Facebook".