Poco fa ho visto che un mio FB-friend ha condiviso un post in cui si legge:
[...] il governo ha tolto l'obbligo di ricetta per le pillole abortive. Così, senza neanche dover far la fatica di chiedere niente a nessuno, 600mila potenziali madri ogni anno in Italia prendono veleno per uccidere la vita. (Per l'Aulin la ricetta serve).
L'autrice è
Costanza Miriano. Faccio una breve visita al suo diario Facebook e vedo una sua foto insieme a Mario Adinolfi e un bel post con questa immagine, che incita a un efficacissimo metodo per ottenere la pace (ma mi sa che qualcosa è andato storto, dato che è il 17 ottobre e la guerra non è scomparsa... forse qualcuno ha detto il Rosario fuori sincrono o ha pappato di nascosto tipo Fantozzi nella clinica dimagrante?).
Ma torniamo al tema della non più necessaria ricetta per la pillola abortiva, per cui 600mila donne ogni anno potranno prendere il veleno senza fatica senza chiedere niente a nessuno.
Capisco battersi perché venga negato il diritto all'aborto, se si è contrari. Ma che senso ha costringere 600mila donne a far fatica?
Forse il senso potrebbe essere costringere una donna a parlare con qualcuno che la informa (magari senza intimidirla né usare sensi di colpa) sulla possibilità di portare a termine la gravidanza e fare il parto anonimo affinché il bimbo sia adottato.
Ma alla base di questo tipo di auspicio, che più di una volta ho sentito esprimere dagli anti-abortisti, c'è un equivoco, che mi appresto a chiarire.
Per l'Aulin la ricetta serve perché un paziente potrebbe non conoscere controindicazioni e effetti collaterali; potrebbe non sapere in quali quantità e in quali casi assumerlo e non assumerlo.
Insomma: serve la ricetta perché con l'uso totalmente autonomo si rischia di fare più male che bene.
E la pillola abortiva? Non fa forse male?
Dal punto di vista medico, evidentemente si pensa che le istruzioni sul foglietto illustrativo siano sufficienti affinché la donna possa capire come farne un uso appropriato, e che è improbabile un uso inappropriato che comporti danni alla salute.
Dal punto di vista etico, sì, fa male, secondo qualcuno. Questo qualcuno non è la legislazione italiana.
Secondo la legge italiana l'aborto non è come la prostituzione, considerata attività legale e al tempo stesso fenomeno brutto e quindi da contrastare.
La legislazione italiana vede l'aborto come né negativo né positivo. Infatti se fosse considerato negativo, lo sarebbe per una sola ragione, e cioè il considerare l'embrione un essere con gli stessi diritti di una persona (o "considerare l'embrione una persona"). L'apparato giuridico italiano non contempla il concetto di "mezza persona". O è una persona, oppure non lo è. Quindi no, non lo è. Perché se lo fosse, allora la vigente la legge sull'aborto non potrebbe esistere, in quanto contrastante con l'articolo 3 della Costituzione, secondo cui "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge".
Ecco perché è inutile argomentare sui provvedimenti legislativi finalizzati a non mettere i bastoni fra le ruote delle donne che vogliono abortire. Sarebbero bastoni fra le ruote che servono a frenare un fenomeno che non è considerato da frenare.
L'unica battaglia che avrebbe una sensatezza e una coerenza sarebbe, dal punto di vista di chi vuol contrastare l'aborto, proporne l'abolizione in toto. Magari con una retorica più efficace e meno controproducente rispetto a quella che continua a essere utilizzata, e che nomina di continuo "la vita", dato che "vita" è anche una foglia.