28 ottobre 2008

Pubblicità di operatori sanitari: si può, ed è giusto

Fino a poco tempo fa in Italia non era permesso pubblicizzare l'attività di professionisti della salute in televisione e sui giornali (tranne che quelli specializzati). Probabilmente lo spirito della legge che lo vietava, e cioè la legge 175 del 1992, era evitare che la visibilità di un medico, o fisioterapista, o logopedista, etc dipendesse dalla sua disponibilità economica anziché dalla sua competenza, ed evitare così disparità ingiuste fra colleghi.

Ma si trattava di un "comunismo mediatico" incoerente visto che, secondo la stessa logica, si sarebbe dovuto abolire la pubblicità in TV e sui giornali per qualsiasi prodotto o servizio, sia quelli che hanno a che fare con la salute (es. i farmaci, iper-pubblicizzati da sempre), sia quelli di altro tipo ("è giusto che la mia neonata azienda produttrice di ottima polpa di pomodoro in scatola abbia una minore visibilità di quella multinazionale che produce un prodotto peggiore, solo perché ha i soldi per pagarsi la pubblicità?").

La Legge Italiana 175 del 1992 è stata in gran parte abrogata col Decreto Bersani del 2006 e in seguito invalidata del tutto dalla Corte Europea, che l'ha ritenuta discriminatoria e inutile alla tutela della salute (17 luglio 2008, sentenza in seguito a domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Giudice di pace di Genova).

...Giustamente.

Non solo perché ognuno deve poter lavorare coi propri mezzi per farsi strada nel mercato (se si crede nel libero mercato), ma anche per un motivo che vede lo spirito della legge 175/92 tradito dalle conseguenze reali della sua stessa applicazione. Infatti fra professionisti della salute esiste inevitabilmente una disparità dovuta a vari fattori su cui è impensabile intervenire. Tipico esempio è la differenza di visibilità fra un medico appena uscito dalla scuola di specializzazione e un suo collega che lavora da molti anni (da ricordare che non sempre avere un'esperienza più lunga significa essere più competenti).
Di solito la risposta che le persone danno quando sentono parlare di questo problema è del tipo "Basta avere un po' di pazienza e costanza e se uno è bravo verrà premiato dal passaparola fra i pazienti". Ma il passaparola è decisamente sopravvalutato. Se si escludono i rari casi in cui un paziente si rende conto di un gravissimo errore del professionista e i casi (ancora più rari) in cui si rende conto della bravura straordinaria con cui ha lavorato, l'influenza del passaparola, nel bene e nel male, è davvero minima. Per rendersene conto basta ragionare un attimo con la propria esperienza e chiedersi:

- Quante volte in un anno mi sono rivolto a un operatore sanitario?
- Quante volte ho parlato di quell'esperienza a un conoscente?
- Quando l'ho fatto, quante volte ho detto il nome del professionista anziché dire semplicemente es. "sono andato dal dermatologo" ?
- Considerando tutte le volte che ho parlato a un conoscente della mia esperienza, qual era la probabilità che l'interlocutore fosse veramente e attento a quello che dicevo al punto di ricordarsi il nome del professionista di cui gli ho parlato?

La verità è che di solito un operatore sanitario è conosciuto prevalentemente non per il passaparola, ma grazie ai medici di famiglia che consigliano ai loro pazienti di rivolgersi a lui e grazie alla visibilità "fisica", "geografica", degli ambulatori nei quali lavorano.

Allora, con la disoccupazione che c'è in Italia anche nel settore sanitario, se un giovane professionista della salute fresco di studi ha il coraggio di intraprendere una carriera di libero professionista, il suo diritto di essere conosciuto e "provato" dai pazienti corrisponde sostanzialmente al suo diritto di farsi pubblicità sui giornali, in televisione e sul web (anche in quest'ultimo la pubblicità di operatori sanitari era vietata ed ora non più).

Avere la disponibilità economica per prendere in affitto o comprare uno spazio dotato di grande visibilità e per trasformarlo in studio o ambulatorio, avere un medico di famiglia come amico o arrivare da lui prima degli altri colleghi per stipulare un accordo (illegale) sulla percentuale da lasciargli per ogni paziente inviato non possono essere l'unica soluzione.