12 settembre 2021

Codici identificativi per gli agenti delle forze dell'ordine

C'è chi dice

"Oggi giorno un poliziotto non può torcere un capello a un ladro, dev'essere attentissimo, se no rischia grosso".

Questo è il mondo all'incontrario.

È proprio vero l'esatto contrario.

Cioè finché un agente delle forze dell'ordine non fa qualcosa di molto, molto grave, e finché questo non può essere provato con dei filmati (o con una rarissima confessione, come nel caso dell'omicidio di Stefano Cucchi), quell'agente la farà franca, anche per complicità dei suoi colleghi e dei suoi superiori. Questa la situazione attuale.

Da luglio scorso, sul sito italiano di Amnesty International, è attiva questa pagina per una petizione con cui i firmatari chiedono che gli agenti delle forze dell'ordine impegnati in operazioni di ordine pubblico siano identificabili con dei codici ben visibili sulle divise e sui caschi.

Un'argomentazione portata da chi difende le forze dell'ordine in modo generico (e cioè cambiando discorso) è che poliziotti e carabinieri ingiustificatamente violenti rappresentano solo alcune mele marce, cioè poche eccezioni. A parte il fatto che la questione non riguarda la quantità, ma la possibilità di individuare i colpevoli, siano essi la maggioranza o delle eccezioni, voglio anch'io parlare di eccezioni, ma in modo molto più pertinente rispetto al problema in questione.

Un'eccezione è senz'altro rappresentata dall'agente delle forze dell'ordine che viene punito. Se poi parliamo di ciò che viene diffuso dai mass media, rappresenta un'eccezione anche il solo fatto che il buon operato di un agente delle forze dell'ordine venga messo in dubbio. Questo avviene per lo più nei rari casi in cui ci sono filmati che documentano i fatti in modo inequivocabile, mentre purtroppo gli episodi di violenza ingiustificata e insabbiata avvengono tutti i giorni. Sono centinaia ogni giorno.

Quindi nell'ambito della giustizia e dell'informazione ci sono pochi frutti buoni, cioè le giuste condanne e tantissimi frutti marci, cioè i casi di totale impunità.

Gli agenti delle forze dell'ordine sono pagati e addestrati per proteggerci, non per sfogare la loro rabbia e nutrire il loro ego con botte e torture.

Se non hanno la lucidità necessaria per farlo, il rimedio utile non è un anonimato che "garantisca loro di lavorare con la necessaria serenità". Se non ti senti sereno per il fatto di non poter picchiare le persone senza motivo, la soluzione è cambiare mestiere.

Firma la petizione di Amnesty International.

E falla firmare a quante più persone possibili!

Ah, rispondo alla demenziale argomentazione "sono padri di famiglia" che è stata più volte portata da Matteo Salvini: se dal fatto che un uomo è padre di famiglia deduci la sua innocenza, spero tu non abbia figlioli. E se li hai, spero che non prendano esempio da te.

10 settembre 2021

Quanto sono pubblici i processi penali?

Lo scorso febbraio, parlando con un mio amico, m'è venuto un dubbio, che ho deciso di condividere qui: magari a un esperto di diritto capita di leggere questo blogpost e mi dà una risposta scrivendo un commento. Lo apprezzerei assai.

Visto che i processi penali sono atti pubblici, che io sappia chiunque dovrebbe poter visionare la documentazione, dove compaiono anche indirizzi civici, indirizzi email, numeri di telefono, patologie e orientamenti sessuali menzionati.

O forse l'addetto all'ufficio apposito prima di rilasciare la documentazione sostituisce con un "omissis" i dati che arbitrariamente ritiene non debbano essere divulgati? (ma che parola imbecille "omissis"... sembra un cat calling a una milf da parte di un italo-americano... è tanto difficile scrivere "omesso"?)

Ho detto "ritiene arbitrariamente" perché l'interpretazione di questa eventuale regola non è univoca in certi casi. E cioè nei casi in cui ad esempio un dialogo narrato nella querela abbia come fulcro proprio uno di quei dati sensibili, omettendo i quali il documento è completamente inutile.